The origins of the INFN Padua unit

Alessandro Bettini


Riproduciamo qui un articolo di Antonio Rostagni di trent’anni fa, come testimonianza di uno dei diversi percorsi che, nel dopoguerra, portarono alla rinascita in Italia della fisica e alla creazione dell’INFN. L’articolo apparve sul “Notiziario INFN” nella rubrica Rassegna di attività, che era dedicata, in ciascun numero, non solo all’attività, ma anche alla storia di un Laboratorio Nazionale o di una Sezione. Le pubblicazioni del “Notiziario” si interruppero, per l’improvvisa scomparsa del direttore Stainislao Stipchich, con il n. 1-2 nel marzo 1988, per cui Stipchich aveva programmato la Sezione di Padova. Come direttore della Sezione, scrissi l’articolo sull’attività sperimentale e chiesi al Prof. Rostagni quello sulla storia. Fu il suo ultimo scritto, perché pochi mesi dopo, il 5 dicembre dello stesso anno, egli ci lasciò.

Antonio Rostagni, nato a Novara il 14 luglio 1903 e formatosi a Torino, insegnò fisica sperimentale (oggi fisica generale) a Messina dal 1935 al 1938. In quell’anno si trasferì a Padova, dove tenne la stessa cattedra, lasciata forzatamente da Bruno Rossi per le orrende leggi razziali, e fu il Direttore dell’Istituto di Fisica sino alla pensione nel 1973. Cessato l’insegnamento, continuò comunque ad assicurare i suoi contributi come professore emerito, nel grande studio progettato a suo tempo da Rossi 1 come lo Studio del Direttore. Fu uno dei fondatori dell’INFN, nel 1951, ne fu vicepresidente dal 1956 al 1958 e direttore della Sezione di Padova dalla sua istituzione nel 1951 al 1963. Dal 1958 al 1959 fu Direttore della Divisione Ricerca dell’International Atomic Energy Agency (IAEA) a Vienna. Diede contributi scientifici alla fisica terrestre, dei raggi cosmici e delle onde elettromagnetiche.

Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, nelle condizioni difficilissime di un Paese che usciva distrutto da una dittatura e da una guerra perduta, la fisica non solo rinacque, ma fu organizzata con strutture tali da farla divenire, in non molti anni, una delle principali nel mondo. Il merito fu di poche illuminate persone, i Padri fondatori dell’INFN, la struttura che permise lo sviluppo della ricerca, non solo nelle loro quattro sedi, ma gradualmente in tutta l’Italia. Già quand’erano giovani, prima della guerra, si erano conosciuti, anche fuori del lavoro. La foto sopra mostra tre di loro, Rostagni, Wataghin e Persico, che, con la signora Rostagni e Fermi, si godono una giornata di sole d’inverno a Gressoney, prima di ridiscendere a valle con gli sci.

Ricordo in proposito un’idea di base, che Rostagni ci disse più volte gli fosse stata di guida. In Italia, diceva, nella storia passata, abbiamo avuto giganti della fisica, come Galilei, Volta, Avogadro, ma non abbiamo mai avuta una vera scuola di fisica, come quelle di altri paesi; l’INFN l’abbiamo fatta anche per cercare che se ne sviluppassero. Possiamo ben dire che ci riuscirono ed esserne loro grati.


Le origini della sezione di Padova dell’INFN

L’Istituto di Fisica di Padova, che doveva diventare sede della locale Sezione dell’INFN, fu costruito nell’immediato anteguerra quando ne era direttore Bruno Rossi. Nominato giovanissimo professore in questa sede, nel 1933, Rossi poté continuarvi senza interruzione le ricerche sui raggi cosmici, nelle quali si era affermato, ricerche che non richiedevano allora attrezzature stabili impegnative. L’istituto era sistemato in vecchi locali del Palazzo Centrale Universitario. Rettore dell’Università era Carlo Anti, archeologo, che si stava ponendo il problema di un rinnovo edilizio dell’intero complesso universitario.

Fra le necessita più urgenti si poneva proprio quella di un nuovo Istituto di Fisica, e così Rossi poté dare le sue indicazioni per il progetto, avendo presenti i criteri adottati nei più moderni Istituti europei. Ultimata la costruzione e l’attrezzatura di base, egli volle solennizzare l’apertura del nuovo Istituto presentandolo ai colleghi delle Università italiane nella primavera del 1937. Io ci venni da Messina, e ricordo che ebbi un’impressione molto favorevole della impostazione di base, sia nei riguardi delle possibilità di ricerca sia dell’attività didattica. Ero particolarmente interessato a questi problemi in quanto avevo in vista una sistemazione dell’Istituto di Messina, dove pensavo di rimanere per parecchi anni a venire.

L’anno seguente, in estate, il governo italiano emanò la iniqua legge razziale che, in particolare, escludeva gli israeliti dall’insegnamento universitario. Così Rossi si trovò, con Emilio Segrè ed altri, privato dalla cattedra e costretto ad emigrare. Da Padova se ne andò pure S. Debenedetti, che era stato negli ultimi anni il suo più diretto collaboratore.

Nel Dicembre di quello stesso anno (1938) fui trasferito a Padova e da Palermo venne anche Giancarlo Wick alla cattedra di Fisica Teorica. Non trovammo giovani già avviati in qualche attività di ricerca e ci dedicammo intanto a organizzare gli insegnamenti, in attesa di individuare, tra i laureandi, quelli che sembrassero rivelare attitudini alla ricerca. La situazione politica si evolveva intanto in modo preoccupante: nel settembre 1939 scoppiava la guerra e nel giugno 1940 vi entrava anche l’Italia. I giovani che si laureavano venivano regolarmente chiamati alle armi, e non si poteva pensare ad avviare attività impegnative. Nell’Ottobre 1940 Wick fu trasferito a Roma, al posto di Fermi che aveva lasciato l’Italia per gli Stati Uniti. A Padova venne da Torino, come incaricato per la Fisica teorica, N. Dallaporta. La situazione divenne gravissima nel 1943 con l’occupazione tedesca e i ripetuti bombardamenti, che fortunatamente risparmiarono l’Istituto.

Finita la guerra, nel secondo semestre 1945 ritornarono, uno dopo l’altro, alcuni fra i laureati del quinquennio, che avevano subito vicissitudini più o meno drammatiche e che ora aspiravano ad iniziare un’attività scientifica. Ho ben presente alla memoria il duro inverno 1945-46; volevamo comunque farci un quadro aggiornato delle ricerche di fisica nel mondo e delle eventuali novità intervenute ultimamente, per poi decidere un piano d’azione scegliendo un campo di lavoro che offrisse prospettive abbastanza vaste, senza richiedere in partenza attrezzature importanti ne capacità acquisite da un prolungato addestramento. Si pensava a prospettive vaste perché l’Istituto in sé offriva ampio spazio, e si aveva la sensazione che il numero dei giovani interessati sarebbe rapidamente aumentato.

Apparve perciò come campo più adatto a queste condizioni quello dei raggi cosmici, sebbene nessuno dei presenti ne avesse avuta un’esperienza diretta. Si inizio subito il lavoro, sia nel campo teorico che in quello sperimentale, affrontando qualcuno dei problemi che dai più recenti lavori apparivano dibattuti.

Come primi frutti di questo inizio d’attività si ebbero l’accoglimento da parte del CNR della domanda di istituire a Padova un Centro di studio che fu chiamato degli Ioni Veloci (febbraio 1947), regolarmente finanziato, sia pure in misura modesta, e l’invito da parte del British Council al direttore dell’Istituto a visitare laboratori inglesi per ristabilire i contatti con i fisici di quel paese. Questo viaggio ebbe luogo in febbraio-marzo 1948, con visita ai laboratori di Londra, Oxford, Bristol, Manchester, Birmingham e Cambridge.

Risultati immediati del viaggio furono da un lato una più chiara conoscenza di quella che era stata l’evoluzione delle ricerche fisiche nell’ultimo quinquennio e di quelle che erano le tendenze prevalenti attuali, e d’altro lato lo stabilirsi di legami con determinati gruppi. In particolare con quello di P. M. S. Blackett, allora professore a Manchester, che aveva fra l’altro sviluppato l’uso della camera di Wilson con campo magnetico, e con quello di C. F. Powell a Bristol, specializzato nell’applicazione di emulsioni fotografiche allo studio dei raggi cosmici, che aveva appena scoperto il mesone π, come genitore del leptone μ: un gruppo molto attivo, nel quale ebbi il piacere di ritrovare, dopo molti anni, G. Occhialini.

Questo gruppo, collaborando con le ditte produttrici di emulsioni fotografiche, diede luogo a miglioramenti essenziali nei prodotti per questi impieghi particolari (emulsioni di grande spessore e sensibili a particelle veloci, sino al minimo di ionizzazione specifica), mentre il gruppo stesso perfezionava i metodi di sviluppo e di osservazione microscopica.

Come conseguenza del collegamento, a Padova si iniziò subito una serie di esposizioni di lastre fotografiche sul Monte Rosa (4550 m s. m.), per studiare la produzione dei mesoni e i processi di disintegrazione nucleare dovuti ai raggi cosmici a quella quota in materiali diversi. D’altra parte, con la tecnica dei contatori si procedeva ad esperienze via via più elaborate, a Padova e in caverne di centrali elettriche, sotto centinaia di metri di roccia. Infine si costruì una camera di Wilson da usare con un grosso elettromagnete in dotazione all’Istituto di Fisica.

Questo magnete venne poi trasportalo (1950) in una capanna laboratorio, costruita e messa a nostra disposizione al Piano Fedaia (2000 m s. m.) sulle pendici della Marmolada (fig. 1) dalla società elettrica SADE che stava costruendo una diga in quel luogo.

Con lo stesso elettromagnete, era stata, negli anni precedenti, avviata una serie di ricerche sulla radioattività del potassio 40, che si condusse con la determinazione completa dello schema di disintegrazione di questo nuclide. Altre esperienze erano state compiute, sempre con questo magnete, sui raggi cosmici, dirette a determinare l’eccesso positivo della componente penetrante in diverse bande d’energia, esperienze che vennero riprese alla Marmolada.

È qui il caso di ricordare l’opera appassionata di Italo Filosofo, che collaborò al progetto della capanna e ne curò l’attrezzatura. Vi avviò la misura dell’eccesso positivo con l’elettromagnete, alla quale aveva già partecipato a Padova. Rimasto solo ad attendere alle misure nel periodo natalizio, ebbe un’avventura drammatica: la linea elettrica destinata ad alimentare il cantiere di costruzione della diga (naturalmente chiuso nell’inverno) e il laboratorio fu abbattuta una notte da una valanga, durante una bufera di neve. Fu così interrotta non solo l’esperienza, ma anche l’illuminazione e il riscaldamento del laboratorio. Filosofo, esperto e collaudato alpinista, non si perdette d’animo. Provvide anzitutto a scaricare l’acqua dai vari impianti ad evitarne la rottura per congelamento. Si avventurò quindi fuori della capanna, ormai quasi sepolta dalla neve, nella bufera notturna, per raggiungere il rifugio albergo del CAI, distante forse un quarto d’ora in condizioni normali, dove i fisici usavano prendere i pasti e pernottare, a parte chi, a turno, restava a guardia delle esperienze. Naturalmente queste non poterono riprendere che verso l’estate, quando il cantiere riprese i lavori, riattivando la linea elettrica.

Aggiungerò qualche notizia sulle comunicazioni fra l’Istituto e il Laboratorio della Marmolada, che si conclude con una storia divertente. Ci servivamo di una coppia di stazioni ricetrasmittenti a onde corte, recuperate nei campi ARAR. Il sistema funzionò senza inconvenienti per forse un paio d’anni, quando ricevetti la visita, in Istituto, di due ispettori delle Telecomunicazioni inviati da Roma, i quali presero a interrogarmi, con aria severa. Avevano portato con sé un paio di volumi, che contenevano, diligentemente registrati, i dialoghi che si erano svolti tra Padova e la Marmolada, dialoghi che per loro avevano l’aria di comunicazioni in codice, infiorati di nomi e nomignoli, sino a designazioni sibilline come “el paròn” e “el paròn grosso de Venessia”.

Ma, a parte il sospetto di chissà quali recondite macchinazioni, che non doveva essere difficile fugare, rimaneva una chiara violazione della legge sulle radiocomunicazioni, per trasmissioni non autorizzate. Violazione della quale ero io il responsabile, come direttore dell’Istituto, e che prevedeva pene severe, a quanto mi si fece capire, perché sembrava configurarsi come un reato e non come semplice illecito amministrativo. Confesso che non mi sentivo a mio agio e cercai di divagare, chiedendo come si potesse regolarizzare la posizione in modo da poter continuare a trasmettere, come era indispensabile per il procedere delle esperienze e per il loro interesse scientifico.

Ad un tratto mi venne in mente che ad ogni Natale, ricevevo e ricambiavo gli auguri di un altissimo funzionario delle Telecomunicazioni, che tale era diventato dopo essersi laureato in fisica insieme con me nel lontano 1925. Chiesi allora ai due severi investigatori se per caso questo funzionario avesse competenza nella materia in contestazione. In breve. non si parlò più di sanzioni e ci si lascio con un loro impegno a procurare l’autorizzazione alle trasmissioni, esente da ogni tassa. Come infatti avvenne.

Con due decreti del Presidente del CNR, Gustavo Colonnetti (1951 e 1952), venne istituito l’INFN, con le sezioni di Roma, Padova, Milano e Torino, e le prime due assorbivano i Centri di studio di Fisica Nucleare e degli Ioni Veloci, attivi rispettivamente dal 1944 e dal 1947. Si chiudeva così, in particolare, un quinquennio di attività del Centro Ioni Veloci. Esso aveva portato l’Istituto padovano ad un livello più che soddisfacente di operosità. I giovani rientrati dalle varie vicende di guerra, privi di qualsiasi esperienza, si erano ormai bene impadroniti dei rispettivi problemi e delle tecniche sperimentali o di calcolo teorico connesse. Il numero dei giovani impegnati nella ricerca era di molto aumentato per apporto sia di allievi locali, sia di laureati di altre sedi, attratti dall’atmosfera di vivace attività e di cordiale collaborazione che si andava manifestando a Padova. Un sommario bilancio dello sviluppo nel quinquennio è contenuto nella relazione annuale del Centro per il 1951 (Ricerca Scientifica, 22 (1952) 911). Non pochi fra i lavori pubblicati rappresentavano dei contributi apprezzabili al progresso delle conoscenze nei rispettivi campi. Del resto, a Padova le discussioni sui vari problemi concernenti la fisica dei raggi cosmici, e quella che si cominciava a chiamare fisica delle particelle fondamentali, erano diventate vivaci e aggiornate, stimolate pure dai contatti frequenti con altri Istituti italiani e stranieri.

Una menzione particolare spetta ad un lavoro di G. Puppi (Nuovo Cimento, 5 (1948) 587; 6 (1949) 194), nel quale si confrontano i processi di cattura nucleare del leptone μ legato in orbita K, di decadimento spontaneo del μ± a riposo, e infine quello di decadimento β dei nuclei radioattivi, nel quadro della teoria proposta da Fermi per quest’ultimo processo. I rispettivi valori delle costanti d’interazione risultano dello stesso ordine di grandezza. L’Autore è indotto da questa constatazione a immaginare un tipo comune di interazione per i tre processi: è il primo passo verso l’idea della universalità dell’interazione debole. Puppi si era laureato a Padova allo scoppio della guerra, e vi era ritornato come incaricato di Fisica superiore nel 1947-48.

La possibilità di lavoro e semplicemente di sopravvivenza di tanti giovani era stata assicurata in quegli anni con criteri che oggi non sarebbero considerati ortodossi. I posti ufficialmente retribuiti erano pochi. Chi aveva la fortuna di appartenere ad una famiglia benestante e residente a Padova non aveva problemi e svolgeva la sua attività a titolo “onorario”. Per gli altri, ad evitare le spese di alloggio, si erano collocati dei letti in locali dell’Istituto; per il vitto si era organizzata una mensa di tipo famigliare, con una cuoca che provvedeva a tutte le occorrenze ripartendo le spese tra gli interessati.

Le retribuzioni (se tali si potevano chiamare) che l’Istituto era in grado di corrispondere, bastanti appena a coprire quelle spese, venivano ricavate da elargizioni di benemeriti enti industriali. Del resto, situazioni individuali così precarie non duravano in genere troppo a lungo, perché a poco a poco qualche nuovo posto “ufficiale” si riusciva ad ottenere. E poi tutto questo fu possibile nell’atmosfera di entusiasmo e di fiducia nella ripresa, che dominò per alcuni anni dopo i duri tempi della guerra.

Un problema che si ebbe presente fin dall’inizio fu quello di un’officina meccanica commisurata a future importanti attività sperimentali. Vi erano le macchine essenziali, ma due soli meccanici: il più anziano di essi era molto esperto e capace di istruirne altri. Assumendo degli apprendisti si poneva però il problema di poterli trattenere con un compenso adeguato dopo anni di addestramento. Il problema fu risolto temporaneamente eseguendo lavori a pagamento per conto di terzi, che in genere erano altri istituti universitari. Così quando l’INFN mise a disposizione maggiori mezzi anche per retribuire persone, non vi fu che da scegliere fra i giovani che avevano rivelato le migliori attitudini. Nel giro di pochi anni la Sezione poté così disporre di un’officina meccanica adeguata ad ogni necessità.

Le osservazioni degli ultimi anni con la camera di Wilson e con le lastre fotografiche nucleari, avevano rivelato l’esistenza di particelle instabili, che, per certe singolarità del loro comportamento, vennero in seguito chiamate “strane”. Lo studio ne era reso problematico dalla rarità di tali eventi. C. F. Powell ebbe l’idea che una collaborazione tra parecchi laboratori avrebbe consentito di affrettarne la soluzione, moltiplicando gli eventi disponibili da analizzare con criteri comuni. Invitò perciò quei laboratori europei che già usavano le emulsioni nucleari per lo studio dei raggi cosmici ad un convegno a Bristol nel Dicembre 1951. In apertura egli osservò argutamente che, a differenza dei convegni scientifici abituali, nei quali si portano le conclusioni di lavori di ricerca, dall’attuale convegno si attendevano invece delle proposte per l’avvio di nuovi campi di ricerca.

Egli proponeva dunque di associarsi per effettuare una serie di esposizioni di lastre fotografiche in alta quota (20–30 km s. m.), per mezzo di palloni, che a Bristol avevano già sperimentato. Le lastre sarebbero poi state ripartite fra i laboratori interessati per l’esame microscopico. Conveniva effettuare le esposizioni a latitudini inferiori, per lo meno a quelle dell’Italia centrale o meridionale. Da Padova proponemmo (eravamo presenti Dallaporta ed io) come possibili sedi di lancio Napoli o Cagliari: da qui, secondo la tecnica collaudata, i palloni avrebbero dovuto salire alla quota prestabilita, galleggiare a quota costante per un certo numero di ore, e infine, al comando di un orologio, liberare il carico di emulsione fotografica, sorretto da un paracadute.

Data la situazione geografica dell’Italia meridionale e della Sardegna, si riteneva preferibile predisporre la caduta in mare del materiale in parola e il recupero con mezzi opportuni, che ci saremmo interessati di procurare. La proposta fu accettata e ad essa aderirono parecchi laboratori europei.

Le Sezioni dell’INFN decisero di partecipare in forza all’impresa, collaborando anche alla fase preparatoria. Si concordò che a Padova si sarebbe costruita una parte dei palloni (fig. 2 e fig. 3), mentre Roma e Milano avrebbero collaborato alla costruzione degli apparecchi di segnalazione della posizione del pallone, e di comando. Si ottenne, d’altra parte, come condizione essenziale, l’appoggio dell’Autorità militare per tutta l’impresa. In pratica i lanci (una trentina) vennero effettuati dall’aeroporto di Elmas (Cagliari) fra i mesi di giugno e luglio del 1952 e 1953. Normalmente il pallone, lanciato alle prime luci dell’alba, si spostava verso Est di alcune decine di km, sotto l’azione del vento, sino all’altezza di 20 km, dove la direzione del vento si invertiva; esso procedeva quindi verso Ovest, alla quota di galleggiamento prestabilita, fra 25 e 30 km. Appositi segnali radio che esso inviava consentivano di seguirlo nei suoi spostamenti, sino al momento dello sgancio.

Una nave militare (un avviso-scorta o una corvetta), partita la sera prima, procurava di trovarsi in zona, mentre un aereo ricognitore, che cercava di individuare una larga chiazza di fluorescenza diffusa dal carico caduto in mare, e dei segnali radio emessi da quest’ultimo, aiutavano a localizzarlo. Si ebbe, in particolare nel secondo anno, una buona percentuale di recuperi (12 su 17 voli). Inoltre, nel secondo anno, si applicò un perfezionamento sostanziale al materiale esposto: anziché strati di emulsione deposta su vetro (che limitava fortemente la lunghezza delle tracce osservabili) si esposero strati liberi di emulsione (stripped emulsions), addossati direttamente l’uno all’altro per uno spessore complessivo di qualche centimetro. Ciò rendeva possibile ottenere delle tracce abbastanza lunghe, condizione essenziale per determinare con qualche precisione le caratteristiche della particella che aveva prodotto la traccia (massa, energia cinetica, vita media di essa e dei suoi derivati).

In un convegno tenuto a Padova nell’aprile 1954 fra i partecipanti alle spedizioni, al quale intervennero pure alcuni studiosi di altri laboratori che avevano ottenuto risultati per altra via sull’insieme delle particelle in questione (in particolare con la camera di Wilson), si prese atto che i progressi delle conoscenze, prodotti da una così vasta collaborazione, erano stati assai notevoli, anche rispetto a quanto si era appreso nell’importante Convegno Internazionale di Bagneres de Bigorre (1953), ma rimanevano tuttavia alcune incertezze fondamentali.

Si giunse così, nei mesi seguenti, ad una proposta, avanzata da M. Merlin e discussa fra Bristol, Milano e Padova, di lanciare un grosso blocco di emulsione (volume complessivo di 15 dm3, dimensioni di più dm per ogni lato: il blocco è ricordato nella letteratura come “G-stack”), così da ottenere un numero elevato di tracce che esaurissero la corsa all’interno del blocco stesso. Il peso (oltre 60 kg la sola emulsione) e il costo di tale blocco ponevano problemi, per cui si decise di effettuare un solo lancio, fidando nella fortuna che effettivamente ci fu favorevole. Il blocco, recuperato in terra, dopo un volo sopra l’alta Italia, con momenti drammatici, venne suddiviso fra vari laboratori ed esplorato molto rapidamente, sotto la spinta di Merlin che dedicò a questa impresa, nelle sue diverse fasi, tutta la sua energia e capacità organizzativa. Ne derivarono importanti contributi al chiarimento ulteriore del complesso panorama delle particelle strane. In particolare, la riduzione degli errori nelle determinazioni di massa portò a ritenere eguali fra loro le masse, di poco inferiori al migliaio di masse elettroniche, di una presunta serie di particelle che si distinguevano per i modi di decadimento: vale a dire, a supporre che si trattasse di un’unica particella, neutra o con carica, la quale poteva decadere in tanti modi diversi. A ciò si opponevano serie considerazioni teoriche, per cui ne nacque il “dilemma θ-τ”, con riferimento ai simboli attribuiti a due fra le ipotetiche particelle in questione.

Questo avveniva nel 1955, in occasione di un congresso internazionale tenuto a Pisa, nel quale furono presentati i risultati del G-stack, e insieme i primi risultati ottenuti da fisici americani con le particelle prodotte artificialmente, in condizioni ben controllate, al Bevatrone, da poco entrato in funzione a Berkeley. I risultati si trovarono in ottimo accordo fra loro, dando piena soddisfazione alle fatiche della collaborazione europea, ma anche mostrando che con questo finiva l’era dei raggi cosmici come mezzo per lo studio delle particelle fondamentali, almeno alle energie raggiungibili con gli acceleratori, in quanto questi risultarono presto in grado di fornire fasci di quelle particelle delle quali i raggi cosmici erano così avari e casuali produttori. Alla soluzione del dilemma θ-τ si giunse in un paio d’anni, attraverso la scoperta della non conservazione della parità nelle interazioni deboli. Le particelle in questione vennero chiamate mesoni K (precisamente un doppietto K+ K con masse uguali a 965me, e un doppietto $K^{0} \bar{K}^{0}$ con masse uguali a 975me). A caratterizzare questi mesoni e la serie di particelle instabili di massa superiore al protone, pure rivelate da queste ricerche, che vennero chiamate iperoni, si introdusse il nuovo numero quantico chiamato stranezza.

La partecipazione in forze delle Sezioni dell’INFN alla grande collaborazione europea aveva stretto i legami fra di esse, dando un significato concreto a questa istituzione. Per Padova poi era stata una prima occasione per una affermazione significativa sul piano internazionale. Della considerazione raggiunta dalla nostra Sezione, si ebbe conferma nel successo della grande Conferenza Internazionale su “Mesons and recently discovered particles” tenuta fra Padova e Venezia nel settembre 1957, sotto gli auspici della SIF.

Accanto all’intervento in prima linea nelle varie fasi operative richieste per le esposizioni delle emulsioni, dalla fabbricazione dei palloni allo sviluppo delle emulsioni (operazione quest’ultima assai delicata), e alla scoperta e misura accurata di numerosi eventi caratteristici della nuova classe di particelle, i fisici padovani recarono pure contributi importanti all’interpretazione dei fenomeni, ad opera di Dallaporta e della sua scuola. È di Dallaporta l’estensione, proposta nel 1955, della nozione di interazione universale di Fermi a tutti i processi deboli, coinvolgenti non solo leptoni e nucleoni, come sino allora si era ritenuto, ma anche iperoni e mesoni, e in particolare i decadimenti non leptonici di questi.

Questo fondamentale risultato fu ritrovato indipendentemente qualche mese più tardi da Gell-Mann, il quale non esitò a riconoscere la priorità di Dallaporta. Era questa la definitiva estensione dell’idea prospettata da Puppi nel 1948, circa un possibile carattere universale dell’interazione debole di Fermi.

Da Padova, mentre si continuava l’analisi del ricco materiale fornito dal G-stack, si cominciavano ad esporre pacchi di emulsione ai fasci del Bevatrone. E i risultati non tardarono: con un’esposizione mirata a questo scopo, M. Baldo Ceolin scoperse con D. J. Prowse, nel 1958, l’anti-iperone, come primo rappresentante della famiglia delle antiparticelle strane (fig. 4).

Nel campo della fisica nucleare, Clementel e Villi proposero un’interpretazione fenomenologica delle mirabili esperienze di Hofstadter a Stanford sui fattori di forma dei nucleoni: secondo Clementel e Villi queste esperienze rivelavano distribuzioni ben determinate di carica dei due segni all’interno del protone e del neutrone, rispettivamente. Questa interpretazione venne perfezionata dal punto di vista concettuale in un successivo lavoro di Fubini, Villi e altri (1961).

Intanto, sempre negli anni '50, altri fatti determinanti per lo sviluppo della Fisica in Italia ed in Europa erano intervenuti: 1) la decisione europea, con partecipazione dell’Italia insieme a una decina di altri paesi, di fondare il CERN (Centro Europeo per Ricerche Nucleari), come sede per attrezzature di ricerca avanzata (per es., grandi acceleratori), tali da richiedere un impegno tecnico e finanziario superiore alle possibilità dei singoli Paesi; 2) la decisione dell’INFN di dar vita ad un laboratorio comune (i Laboratori Nazionali di Frascati) con un acceleratore per elettroni, a energia dell’ordine di 1 GeV; 3) la moltiplicazione graduale delle Sezioni dell’INFN, come filiazioni delle Sezioni esistenti, conseguenza e insieme causa dell’estendersi dell’interesse per la ricerca a sempre più numerosi Istituti italiani (così dalla Sezione di Padova ebbero origine quelle di Bologna e Trieste e, più tardi, Bari, da Roma quella di Pisa, e da Milano quella di Genova).

Antonio Rostagni