Marcello Conversi: a remembrance

Young Italians, from via Panisperna to via Giulia in Rome

Enzo Iarocci


In ricordo di Marcello Conversi

Dai ragazzi di via Panisperna a quelli di via Giulia

1 Non è il mesone di Yukawa

Alla fine del 1946 Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni inviano a Physical Review la lettera “On the Disintegration of Negative Mesons”, pubblicata a febbraio 1947. Enrico Fermi, con altri, mostra prontamente che quel lavoro manda in frantumi l’idea diffusa che il mesone normalmente rivelato a basse quote nella radiazione cosmica sia quello predetto da Yukawa quale mediatore della forza scambiata tra i nucleoni di un nucleo. Ai primi di giugno nella famosa conferenza tutta americana di Shelter Island Robert Marshak e Hans Bethe ipotizzano che i mesoni siano due, l’uno che decade nell’altro. Quasi allo stesso tempo appare su Nature il lavoro di Cecil Powell e collaboratori, tra cui Giuseppe Occhialini, che mostra su emulsioni fotografiche esposte ad alta quota le tracce di entrambi i mesoni: quello di Yukawa, il pione, e quello presunto, il muone, frutto del decadimento del primo. È sintomatica la reazione di Isidor Rabi alla scoperta del muone: “Who ordered that!”. Louis Alvares nella sua Nobel Lecture del 1968 così commenta la scoperta: “Come opinione personale, vorrei suggerire che la moderna fisica delle particelle sia nata negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, quando un gruppo di giovani italiani, Conversi, Pancini, e Piccioni, i quali si nascondevano dalle forze di occupazione tedesche, diede il via a un notevole esperimento. Nel 1946, essi mostrarono che il “mesotrone” che era stato scoperto nel 1937 da Neddermeyer e Anderson e da Street e Stevenson, non era la particella predetta da Yukawa quale mediatrice delle forze nucleari, ma era invece quasi completamente non reattiva dal punto di vista nucleare” (fig. 1). Al tempo della scoperta Conversi ha 30 anni, 32 i suoi due compagni d’avventura.

2 Il mesotrone

A metà degli anni ’30 è largamente noto che a bassa quota la radiazione cosmica ha due componenti principali: un quarto è costituito da elettroni, positroni e raggi gamma energetici facilmente assorbiti da alcuni centimetri di un materiale ad alto Z come il piombo, il resto da particelle ionizzanti capaci di penetrare grandi spessori di materiale denso.

Una serie di esperimenti mostra che la particella penetrante possiede una massa circa a metà strada tra quelle dell’elettrone e del protone, da cui il nome di mesotrone o più elegantemente mesone. Primeggiano le osservazioni che S. Neddermeyer e C. D. Anderson eseguono, pubblicandole nel 1937, con la stessa famosa camera a nebbia immersa in campo magnetico con cui è stato scoperto il positrone. La camera è ora controllata da contatori e munita al centro di una barra di platino per valutare il potere penetrante delle particelle rivelate.

Prontamente J. R. Oppenheimer e R. Serber suggeriscono che la particella scoperta sia quella ipotizzata da Yukawa quale mediatrice della forza nucleare scambiata tra due nucleoni, analogamente al caso del fotone quale mediatore della forza elettrica scambiata tra due elettroni. Essendo infinito il raggio d’azione della forza elettrica il fotone ha massa nulla, il raggio d’azione della forza nucleare è viceversa molto breve e da ciò Yukawa ha ricavato che la particella scambiata è dotata di massa pari a circa 200 volte quella dell’elettrone. Proprio attorno a tale valore mediamente si attestano le stime sperimentali.

Si osserva anche il cosiddetto assorbimento anomalo: il flusso dei mesoni cosmici è ridotto più da uno strato d’aria che da un denso strato assorbitore a parità di perdita di energia per ionizzazione. Il fatto è interpretato come la prova che il mesone si disintegri spontaneamente nell’atmosfera tenendo conto della dilatazione temporale relativistica. Dalle prime stime si ricava una vita media di qualche microsecondo, pure questa in accordo con la previsione di Yukawa che per la sua particella ha postulato il decadimento in elettrone e neutrino con vita media dell’ordine di un microsecondo (paradossalmente questa valutazione inesatta contribuisce a consolidare il convincimento diffuso).

Spostiamoci ora in Italia quando nel 1938 Fermi si reca a Stoccolma per ricevere il premio Nobel assegnatogli per le sue scoperte in fisica del nucleo atomico. Quello è anche l’anno della promulgazione delle leggi razziali: succede che Fermi da Stoccolma non torni in Italia ma che si rechi negli Stati Uniti per restarci. Analoghe sono le scelte di Emilio Segrè e Bruno Pontecorvo cosicché il gruppo dei ragazzi di via Panisperna si dissolve. A Roma rimane Edoardo Amaldi, all’Istituto di Fisica dell’Università, assieme a Gilberto Bernardini. Entrambi, gli anziani della situazione di 32 e 34 anni rispettivamente, puntano a mantenere viva ed eccellente l’attività di ricerca.

In un periodo attorno allo scoppio della seconda guerra mondiale, Conversi, Pancini e Piccioni eseguono una serie di studi sui mesoni cosmici: non loro tre insieme ma in piccoli gruppi variamente composti e sempre sotto la guida di Bernardini. Questi nel 1940 invita Conversi che si è appena laureato a compiere insieme le prime osservazioni di mesoni cosmici rivelati da tubi di Geiger e deflessi con un dispositivo magnetico che Bruno Rossi ha introdotto nel 1931, grosso modo equivalente a una lente cilindrica: una coppia di barre di ferro verticali, tenute insieme da placche di ferro in modo da formare un circuito magnetico orizzontale. Dato il verso della corrente elettrica nell’avvolgimento e dunque del campo circolante nel ferro, una coppia di barre tende a focheggiare i mesoni con carica elettrica di un dato segno e a spazzar via quelli di segno contrario (fig. 2). Può apparire curioso che mediante un calcolo, seppure piuttosto approssimato, gli autori verifichino anche che responsabile della deflessione delle particelle cariche nel ferro sia il campo B e non il campo H. All’epoca in effetti la questione è ancora dibattuta e sarà Franco Rasetti a dire la parola definitiva nel 1944.

In seguito, impiegando le stesse lenti magnetiche sia a livello del mare sia a una quota di 3500 m, Conversi ed E. Scrocco riescono a eseguire una misura indiretta della vita media del mesone che risulta pari a circa 2 μs.

Le vicende della guerra cominciano a farsi sentire direttamente nel 1941 quando Pancini è richiamato sotto le armi. Alla fine dello stesso anno Conversi e Piccioni intraprendono un nuovo esperimento sul mesone puntando a una conclusiva dimostrazione del suo decadimento e alla misura diretta e accurata della sua vita media. I rivelatori impiegati sono “contatori standard dell’Istituto Fisico di Roma”, vale a dire contatori di Geiger. Il grosso del lavoro riguarda, in effetti, la progettazione e la costruzione di circuiti elettronici a valvole: amplificazione e formazione dei segnali, coincidenze in tempo e ritardate. La difficoltà principale risiede nel fatto che le risoluzioni temporali intrinseche delle tecniche disponibili sono a prima vista incompatibili con i tempi da misurare. Conversi e Piccioni tuttavia si dimostrano particolarmente ingegnosi e si divertono a inventare e montare i circuiti necessari.

3 I ragazzi di via Giulia

Nel 1943 la guerra investe direttamente Roma, soprattutto col violento bombardamento di San Lorenzo il 19 luglio del ‘43, a due passi dall’Università. Si decide allora di mettere immediatamente in salvo l’attrezzatura sperimentale al liceo Virgilio in via Giulia, giudicato più sicuro perché più vicino al Vaticano. In questa storia s’imbatte in epoca recente il regista Adolfo Conti, “quasi per caso, navigando su internet: due righe, un breve accenno alla storia di un carretto su cui tre giovani fisici trasportano in salvo la loro strumentazione delicatissima mentre su Roma cadono le bombe che polverizzano San Lorenzo”. Conti ne trae un film-documentario, “I ragazzi di via Giulia”, trasmesso per la prima volta il 25 aprile 2015 su Rai 1 e sempre disponibile per la visione in streaming all’archivio Rai.

Il film inizia proprio con l’episodio che ha colpito l’immaginazione del regista, vale a dire i tre giovani fisici che trasportano il rivelatore di mesoni caricato su un carretto seguiti da Amaldi in bicicletta, pronto a spiegare a vigili o carabinieri cosa siano gli strani congegni trasportati. Questa immagine è in realtà solo simbolica perché Amaldi ricorda che a compiere il trasporto siano stati Piccioni e R. Berardo con l’aiuto di tre studenti, L. Mezzetti, C. Franzinetti e F. Lepri, effettivamente scortati da lui in bicicletta.

Il film intreccia il racconto della misura della vita media del mesone in via Giulia con le drammatiche vicende della guerra in Italia, in particolare a Roma: lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia, la caduta del Fascismo, l’8 settembre, e così via, fino alla fine della guerra. L’intreccio diventa pericoloso in più di un’occasione. Per esempio alla fine del 1943 Pancini è richiamato sotto le armi a Venezia e si dirige al nord ma si arruola tra i partigiani mentre Piccioni è addirittura arrestato ma fortunatamente subito liberato. Nelle sue note al film, Conte racconta che “un giorno Conversi incalzato da una giornalista su questa storia, risponde un po’ infastidito: ‘Non facciamone un romanzo!’”

Nel 1944 Conversi e Piccioni pubblicano la loro “Misura diretta della vita media dei mesoni frenati” scrivendo tra l’altro “La realizzazione degli apparati necessari all’esecuzione della presente esperienza, fu iniziata nell’autunno del 1941. Il tempo –già non indifferente– necessario per costruire e mettere a punto gli apparati medesimi, fu considerevolmente aumentato da cause inerenti lo stato di guerra”. Il dispositivo sperimentale è essenzialmente così fatto: due piani di contatori separati da uno spessore di piombo sufficiente ad assorbire la radiazione molle così che un segnale di coincidenza tra i due piani seleziona un mesone incidente; un successivo spessore di ferro frena il mesone e il suo decadimento in elettrone –più un solo neutrino si ritiene– è eventualmente rivelato mediante una coincidenza ritardata con un terzo piano sensibile (fig. 3).

Nel lavoro pubblicato c’è un’accurata descrizione dei circa dieci circuiti a valvole sviluppati che dimostra padronanza della tecnica e orgoglio per i risultati raggiunti come per esempio: “Le coincidenze del tipo in serie permettono di raggiungere in modo sicuro e agevole poteri risolutivi dell’ordine del microsecondo, cosa che non è per i consueti circuiti di coincidenze in parallelo (Rossi)”. Gli allievi sentono di aver eguagliato il maestro. In conclusione misurano una vita media di 2,30 μs con una precisione del 7,5%, verificando anche che la distribuzione dei tempi di decadimento sia esponenziale (fig. 4). Alla fine del lavoro oltre a G. Bernardini ringraziano il Preside del Liceo Virgilio A. Bandini.

In seguito Conversi e Piccioni pubblicano un secondo lavoro “Sulla disintegrazione dei mesoni lenti”, basato sullo stesso dispositivo. Più che per la nuova determinazione della vita media –che combinata con la prima fornisce il valore 2,33 μs con un 6,5% d’incertezza– il principale interesse di questo lavoro è che sia presentata una verifica della previsione di S. Tomonaga e H. Araki riguardo al ruolo cruciale del segno della carica elettrica: nel caso di mesoni rallentati in un materiale denso solo quelli positivi, per repulsione coulombiana da parte dei nuclei, hanno tutto il tempo necessario per decadere spontaneamente, mentre quelli negativi sono rapidamente assorbiti da un nucleo e non ne hanno affatto la possibilità. Sostituito l’usuale assorbitore di 5 cm di ferro con uno spesso solo 0,6 cm per facilitare la rivelazione dell’elettrone di decadimento, i due sperimentatori osservano che circa la metà dei mesoni fermati sono accompagnati da un decadimento. Essendo noto che, salvo una prevalenza del 20% dei positivi, la composizione dei mesoni cosmici è bilanciata in carica, essi ne traggono che la previsione possa essere considerata verificata. Al termine della discussione tuttavia commentano: “Un’esperienza atta a fornire una risposta presumibilmente definitiva sull’argomento in questione, è stata da tempo suggerita dal dott. Ettore Pancini; essa doveva consistere nel misurare le coincidenze ritardate prodotte da elettroni di disintegrazione, concentrando alternativamente i mesoni positivi e quelli negativi per mezzo di blocchi di ferro magnetizzati. Purtroppo questa esperienza, in seguito alle attuali contingenze, non si è ancora potuta realizzare”.

La guerra finisce, Pancini torna a Roma, si unisce a Conversi e Piccioni, e insieme finalmente compiono un primo esperimento basato sull’uso di lenti magnetiche per confrontare il diverso comportamento dei mesoni positivi e negativi. Il risultato è che “la previsione di Tomonaga e Araki sembra essere confermata”. Potrebbero fermarsi qui, invece decidono di ripetere le misure.

4 La scoperta della natura non nucleare del mesone

Come mostrano uno schizzo di Conversi (fig. 5) e la foto del modello dello storico apparato esposto allo Smithsonian Institute (fig. 1), l’esperimento finale del 1946 impiega una coppia di lenti magnetiche in ferro assieme ai consueti contatori e assorbitori. La coincidenza sopra-sotto dei contatori che equipaggiano la coppia di lenti è in grado di selezionare mesoni del segno desiderato. Il sistema è allo stesso tempo ottimizzato per assicurare il rigetto di quelli col segno sbagliato. In particolare l’azione divergente delle lenti può far entrare in gioco i contatori disposti verticalmente al centro, che in tal caso permettono un controllo diretto dei mesoni rigettati. La coincidenza ritardata con il piano sensibile in basso come al solito segnala l’elettrone, positivo o negativo, di decadimento del mesone frenato nell’assorbitore.

Nell’esperimento finale la scelta vincente è di ripetere le misure usando come assorbitore non solo il ferro ma anche il carbonio, sotto forma di barre cilindriche di grafite –ben visibili nel modello in fig. 1– per estendere a valori di Z più bassi il controllo delle previsioni teoriche e per rivelare eventuali raggi gamma associati alla cattura nucleare dei mesoni negativi (secondo il ricordo di Conversi). Col carbonio la previsione è che in pratica tutto proceda come con il ferro, ma ecco qui la sorpresa: nel carbonio decadono non solo i mesoni positivi ma anche quelli negativi. Il primo pensiero è che ci sia uno sbaglio, ma dopo una serie di verifiche Conversi, Pancini e Piccioni si convincono che l’effetto è reale e affermano: “I risultati col carbonio quale assorbitore sono piuttosto inconsistenti con la predizione di Tomonaga e Araki”. In realtà Fermi, Teller e Weisskopf prontamente mostrano che l’inconsistenza è quantificabile in 10–12 ordini di grandezza, decisamente troppo per essere tollerata. Di lì l’ipotesi dei due mesoni confermata sperimentalmente da Powell. A conclusione del lavoro finale pubblicato sul Nuovo Cimento gli autori ringraziano Bernardini “per il costante interessamento con cui ha seguito questa ricerca”.

Finalmente si chiarisce quanto accade nell’atmosfera. I raggi cosmici primari, prevalentemente protoni energetici, interagiscono negli strati atmosferici più alti generando sciami adronici ricchi innanzitutto di pioni. Quelli carichi hanno una massa di circa 140 MeV e decadono con una vita media di 26 ns praticamente tutti in muone e neutrino, essendo la massa del muone –pari a 106 MeV– di poco inferiore a quella del pione. Nel caso di un pione positivo si ha

$\pi^{+} \rightarrow \mu^{+} + \nu_{\mu} $ .

dove a sua volta il muone decade con una vita media di 2,20 μs in elettrone e due neutrini

$\mu^{+} \rightarrow e^{+} + \nu_{e} +$ anti-$\nu_{\mu}$

La dilatazione relativistica del tempo di decadimento permette ai muoni sufficientemente energetici di volare fino alle basse quote e anche di penetrare per migliaia di metri sottoterra: al livello del mare il flusso incidente è di circa 10000 al minuto per metro quadrato, mentre nel laboratorio sotterraneo del Gran Sasso penetrano circa un milionesimo dei muoni incidenti sulla montagna.

Il muone, una copia solo più pesante dell’elettrone, è la prima particella scoperta oltre la prima famiglia del Modello Standard.

5 Professore a Pisa e la camera a flash

Dal 1950 al 1958 Conversi occupa la cattedra di fisica superiore all’Università di Pisa. Non v’è dubbio che il risultato più importante in quegli anni, che come vedremo tornerà a interessarlo più avanti nel corso della sua vita, sia lo sviluppo della camera a flash. Nel 1982 scriverà: “Quando arrivai a Pisa nel 1950 ebbi la buona fortuna di trovare lì Adriano Gozzini. Era l’unico membro del piccolo gruppo di dipendenti dell’Istituto di Fisica allora attivamente impegnato in una ricerca avanzata che egli conduceva sulla spettroscopia a microonde. Credo che la complementarità della nostra conoscenza giocò un ruolo essenziale nel concepimento e nello sviluppo della camera a flash.”. Il punto di partenza sono le osservazioni di Gozzini sulle curiose condizioni di accensione di una normale lampada al neon investita da pacchetti d’onda a radiofrequenza. Discutendone insieme, Conversi e Gozzini si convincono che in certe circostanze l’accensione della lampada sia associata al passaggio di una particella ionizzante la cui traccia di elettroni liberi nel gas facilita lo sviluppo della scarica di accensione della lampada.

Il funzionamento di una camera a flash si basa sul seguente principio: “Se un intenso campo elettrico è applicato, subito dopo il passaggio di una particella ionizzante, in una regione di spazio piena di un gas, allora una scarica luminosa avviene su tutta quella regione, in conseguenza dei processi di accelerazione degli elettroni liberati dalla particella incidente”. Una camera a flash è essenzialmente un condensatore piano riempito con un gran numero di sottili tubi di vetro contenenti neon (fig. 6).

Negli anni trascorsi a Pisa Conversi dirige anche il progetto per la realizzazione di un avanzato centro di calcolo, il Centro Studi Calcolatrici Elettroniche, nato per un suggerimento e il sostegno di Fermi nel 1954.

6 Ritorno a Roma e sperimentazione ad Adone

Gli anni ‘50 sono cruciali per lo sviluppo della fisica delle particelle in Italia. La scoperta della natura leptonica dei mesoni cosmici da parte dei tre giovani italiani consolida la visibilità internazionale della fisica italiana e rende tangibile l’eredità di Fermi nonostante la guerra. Senza dubbio contribuisce slancio alla realizzazione della visione di Fermi di un istituto italiano di fisica capace di puntare alla realizzazione degli acceleratori di particelle. La visione si realizza nel 1951 con la nascita dell’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: Gilberto Bernardini ne è il primo presidente cui succede Edoardo Amaldi. L’Istituto affida a Giorgio Salvini la fondazione dei Laboratori Nazionali di Frascati e la costruzione dell’Elettrosincrotrone da 1100 MeV che entra in funzione nel 1959, seguito nel 1960 dall’invenzione da parte di Bruno Touschek di AdA, il primo collisore particella-antiparticella, e quindi da Adone, il collisore positrone-elettrone da 3 GeV che inizia l’attività nel 1969. Tutta una serie di decisioni e imprese che situano l’Italia alla frontiera mondiale della fisica delle particelle.

Adone possiede quattro zone d’interazione che sono occupate da esperimenti dalle caratteristiche complementari per quanto riguarda gli obiettivi di fisica e le tecniche strumentali. Marcello Conversi e Mario Grilli promuovono la nascita dell’esperimento Mu-pai fondendo le loro iniziative di partenza, rispettivamente volte allo studio delle coppie di muoni e delle coppie di pioni o kappa carichi, prodotte nell’annichilazione elettrone-positrone. In tal modo dopo vent’anni Conversi torna a occuparsi del muone e del pione. L’apparato sperimentale impiega principalmente camere a scintilla ottiche attivate da contatori a scintillazione, disposti in due telescopi contrapposti che insieme coprono circa un quarto dell’angolo solido totale.

Quando è appena iniziata la raccolta dei dati dalle collisioni elettrone-positrone, i gruppi di Adone notano una frequenza di produzione di eventi a molti adroni sorprendentemente elevata. Una prima comunicazione è data dal gruppo Mu-pai alla conferenza di Kiev nel 1970. Nel giro di due anni la comunità degli esperimenti di Adone guadagna il centro della scena internazionale confermando l’osservazione del fenomeno. Nell’annichilazione elettrone-positrone un evento a molti adroni nello stato finale è considerato frutto della produzione intermedia di una coppia di quark. La sezione d’urto da considerare è allora quella di produzione di una coppia di fermioni puntiformi, dunque la stessa della produzione di una coppia di muoni, a patto di considerare la diversa carica posseduta, elevata al quadrato. Pertanto, sommando su tutti i sapori dei quark in gioco all’energia data, ciascuno con la propria carica, si calcola una sezione d’urto di produzione multi-adronica pari a 2/3 di quella delle coppie di muoni. Quella osservata è invece circa il doppio e dunque 3 volte quella attesa (fig. 7). Il successivo studio della produzione multi-adronica presso altri collisori positrone-elettrone risolve il mistero con la definitiva affermazione del modello di colore dei quark: il fattore 3 in eccesso è dovuto al fatto che i quark possono presentarsi in 3 colori diversi. Il risultato di Adone può essere considerato la prima evidenza sperimentale della forza di colore.

Altro risultato di rilievo è la scoperta da parte dell’esperimento Mu-pai di una larga risonanza attorno a 1600 MeV, il mesone vettore $\rho^{\prime}$, caratterizzato da un decadimento dominante in quattro pioni (fig. 8).

Nella fase finale dell’esperimento alle energie più elevate di Adone, l’apparato è modificato per adeguare la capacità d’identificazione delle coppie di muoni prolungando i due telescopi mediante spessi assorbitori di cemento seguiti da grandi camere a flash-tubes di area sensibile pari a 2 × 4 m2. I tubi di 2 cm di diametro sono di vetro, simili ai primi realizzati a Pisa, riempiti di una miscela elio-neon a una pressione di 375 torr, e posti tra elettrodi d’alluminio. Camere a flash sono sistemate anche dopo la prima camera a scintilla. Gli eventi a molte tracce dell’interessante produzione multi-adronica hanno infatti messo in evidenza la limitata efficienza per molte tracce delle camere a scintilla rispetto a quelle a flash: la prima scintilla che scocca tra due elettrodi sottrae energia alle altre, mentre l’isolante dei tubi a flash minimizza tale effetto. Probabilmente è questa circostanza che spinge Conversi a intraprendere con entusiasmo affatto giovanile un nuovo sviluppo dei suoi tubi. Nell’articolo su Nature “Use of flexible plastic tubes for automatic recording of particle tracks” del 1973, basandosi su prove preliminari prospetta la possibilità di passare a un nuovo tipo di “electrically pulsed chamber” particolarmente semplice ed economico.

7 Calorimetri traccianti e lo studio del decadimento del protone

Nel già citato scritto del 1982 Conversi innanzitutto ricostruisce con cura e puntiglio la storia dello sviluppo della camera a scintilla quale discendente della camera a flash e non del contatore a scintilla come incautamente sostenuto da un autore. Nel lavoro che introduce la camera a scintilla, S. Fukui e S. Miyamoto in effetti citano come precursori entrambi i rivelatori, ma in un loro precedente lavoro, seppure non pubblicato, indicano chiaramente la camera a flash come ispiratrice: fotografando di lato lo sviluppo longitudinale dei flash hanno infatti notato che questi nascono da una scarica più intensa che segnala il punto di passaggio della particella rivelata.

Nello stesso lavoro Conversi richiama i successivi sviluppi della tecnica a flash. Dopo un primo scritto del 1976 (fig. 9) pubblica assieme ad altri il lavoro “A low cost total absorption track detector of high energy particles”, basato sull’impiego di camere a flash di plastica. In seguito, attratto dal progetto del Laboratorio del Gran Sasso che Antonino Zichichi lancia alla fine degli anni ‘70, promuove lo studio di un grande apparato modulare nella scala dei 10 kton per lo studio della vita media del protone, costituito da un calorimetro tracciante a grana fine a camere a flash di plastica. L’apparato è completato dalle Resistive Plate Chambers che proprio in quel periodo Rinaldo Santonico sta sviluppando, con funzioni di comando del sistema a flash e di misura dei tempi di volo per identificare il verso di percorrenza delle tracce.

La tecnica è effettivamente adottata nell’esperimento sul decadimento del protone nel laboratorio del Frejus di massa totale circa 900 tonnellate, con contatori di Geiger a comandare l’attivazione delle camere a flash (fig. 10). In tal modo il rivelatore è caratterizzato dall’impiego esclusivo di gas nobili, e dunque inerti, salvo un 1% di etanolo per smorzare la scarica nei contatori di Geiger. La risoluzione energetica per sciami elettromagnetici è molto buona: $\Delta E / E = 0.06 / E^{1/2}$con $E$ in GeV.

L’esperimento del Frejus entra in funzione nel 1985 e in un lavoro preliminare del 1986 è esibito uno spettacolare fascio di 15 muoni (fig. 11). L’elevata massa del muone rispetto all’elettrone spinge alla scala d’energia delle centinaia di GeV l’insorgere dei fenomeni violenti di irraggiamento o creazione di coppie positrone-elettrone, qual è il caso dell’evento mostrato.

Con la loro ubiquità i muoni cosmici in pratica inaugurano l’entrata in funzione di qualunque dispositivo tracciante di particelle ionizzanti energetiche. Spesso poi le loro tracce rettilinee, raramente disturbate da apprezzabili interazioni con la materia attraversata, permettono anche un semplice controllo degli apparati.

Certamente Conversi sarebbe stato gradevolmente colpito dall’iniziativa di Zichichi di portare la rivelazione e lo studio degli sciami estesi di muoni cosmici presso i ragazzi delle scuole superiori col progetto EEE, Extreme Energy Events, sostenuto in cima alle attività del Centro Fermi da Luisa Cifarelli e presente oggi in oltre 50 scuole.

Nel 1987 a Roma in occasione del 70mo compleanno di Marcello Conversi ha luogo in suo onore il Simposio “Present trends, concepts and instruments of Particle Physics” con una nutrita serie di contributi intensi e autorevoli, incluso quello di Oreste Piccioni.

Del tutto improvvisamente e prematuramente Marcello Conversi viene a mancare l’anno successivo.

Conclusione

Quella di Conversi, Pancini e Piccioni è stata per consenso unanime una scoperta di portata storica che tuttavia non è stata premiata con il Nobel nonostante le numerose proposte di candidatura.

Scorrendo la carriera scientifica di Marcello Conversi colpisce il suo spiccato disinteresse a occupare posizioni di tipo dirigenziale.

Piuttosto, in età matura è tornato in laboratorio riprendendo lo sviluppo dello strumento concepito in gioventù, al quale è affezionato, nonostante forse qualche imbarazzo per un mondo della strumentazione elettronica tutto nuovo e in rapida evoluzione.

Ringraziamenti

Ringrazio Luisa Bonolis per avermi gentilmente messo a disposizione numerose immagini e per avermi dato utili consigli. Ringrazio Francesco Guerra e Rinaldo Santonico per utili discussioni, rispettivamente riguardo all’esperimento CPP e all’attività ad Adone e successiva di Conversi. Grazie infine a Claudio Federici (SIDS LNF-INFN) per il suo contributo grafico.