Lunar Renaissance

Rinascimento lunare

Patrizia Caraveo


1 Il nuovo Millennio

Dopo essere stata al centro di una straordinaria epopea nel corso degli anni '60 e per la prima parte degli anni '70 del secolo scorso, la Luna aveva perso interesse. Aveva ricevuto decine e decine di visite da parte di missioni, prima robotiche e poi umane, che avevano lasciato sulla sua superficie circa 200 tonnellate di ferraglia, poi i riflettori si erano spenti sul nostro satellite che era tornato ad essere semplicemente la discreta presenza che illumina da sempre le nostre notti.

Alla conquista della Luna erano seguiti decenni di poco interesse punteggiati da poche e sporadiche missioni.

Il nuovo millennio ha portato una vera e propria rinascita dell’interesse per la Luna che viene studiata con missioni robotiche mentre si ricomincia a fare piani di esplorazione umana. Accanto all’allargamento della platea delle agenzie spaziali che vogliono studiare la Luna, con missioni in orbita e al suolo, si è aperto il mondo tutto nuovo dell’imprenditoria privata che, con la ricerca del profitto spaziale, potrebbe dare la nuova spinta al ritorno degli uomini e delle donne sulla Luna.

Tuttavia il clima è molto diverso da quello che ha caratterizzato gli anni che hanno portato alla conquista della Luna. Dal 2001 al marzo 2019 la Luna è stata raggiunta da 13 missioni: 1 europea, 1 giapponese, 1 indiana, 4 della NASA e 6 cinesi. Mentre il numero di missioni è decisamente inferiore a quello degli anni precedenti alla conquista, bisogna notare che non si registra nessun fallimento. Tutte le sonde sono riuscite nel loro intento e svolgono il compito per il quale sono state progettate.

Unica eccezione è la sfortunata sonda Bersheet, la prima missione privata israeliana che, purtroppo, ha avuto un problema durante la manovra di allunaggio e si è schiantata nell’aprile di quest’anno.

La prima missione del nuovo millennio è stata Smart-1 (acronimo per Small Missions for Advanced Research in Technology-1) dell’Agenzia Spaziale Europea che ha voluto fare un dimostratore tecnologico per provare la tecnologia del motore a ioni, un sistema che usa l’energia solare per caricare elettricamente un gas nobile, lo xeno, che viene emesso con un flusso continuo. La spinta prodotta è lieve e fa accelerare la navicella in modo costante e graduale. Ci vuole tempo per viaggiare con un motore a ioni che non può certo competere con la spinta di un motore chimico, ma il vantaggio è che non bisogna portare in orbita un pesante motore che necessita di molto carburante. Lanciato nel settembre 2003, ha impiegato circa un anno ad inserirsi in orbita lunare dopo avere descritto orbite sempre più ellittiche, fino a farsi catturare dalla Luna. Una volta arrivato, ha svolto intensa attività scientifica, ricominciando a mappare la Luna, della quale si conoscono in dettaglio le zone di allunaggio delle missioni Apollo ma molto resta da mappare, studiando la composizione del suolo con lo spettrometro a raggi X e con lo strumento sensibile all’infrarosso per riconoscere l’olivina e il pirossene in superficie. La missione è finita il 3 settembre del 2006, quando si è deciso di farla schiantare sulla superficie lunare.

Nel 2007 è partita Chang’e 1, la prima delle missioni dell’agenzia spaziale cinese. È stata il primo passo della Cina verso la Luna e sarà seguito da altre missioni della serie. Dal momento che si tratta di una sequenza di missioni, per semplicità, verranno descritte tutte insieme.

Nel settembre 2008 è partita Selene, meglio nota come Kaguya (dal nome di una principessa lunare della tradizione giapponese). È la seconda missione lunare dell’agenzia spaziale giapponese, e trasporta 13 esperimenti per fare la mappatura della superficie della Luna, ma anche per studiarne la composizione con le righe gamma e farne l’altimetria laser, per misurare la gravità e il magnetismo oltre che per studiare il sottosuolo con l’ausilio del radar. La missione è attiva per 18 mesi poi viene fatta schiantare sul suolo lunare.

Nell’ottobre 2008 è la volta della prima sonda lunare dell’agenzia spaziale indiana. Si chiama Chandrayaan 1 e sarà attiva fino all’agosto 2009, ha a bordo sia strumenti indiani sia strumenti forniti da altre agenzie, quali NASA ed ESA. La missione vuole ottenere una mappa dettagliata della composizione mineralogica del suolo lunare, anche allo scopo di cercare ghiaccio nei crateri sempre in ombra. A questo scopo rilascia un impactor che deve schiantarsi in una determinata posizione per sollevare una nuvola di detriti per facilitare lo studio della composizione dello strato sotto la superficie.

Nel 2009, dopo uno iato di 10 anni, la NASA ha lanciato il Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) che fornisce una splendida mappatura tridimensionale della Luna con risoluzione di 100 metri, coprendo il 98,2% della superficie (mancano solo le regioni polari sempre in ombra) oltre ad ottenere immagini con risoluzione di 0,5 m delle regioni di allunaggio delle missioni Apollo (mostrate in fig. 1).

Anche LRO gioca la carta dell’impactor con LCROSS che viene fatto schiantare nel cratere Cabeus, nel polo Sud lunare, sempre per cercare evidenza della presenza di ghiaccio. La nuvola di detriti mostra presenza di ioni riconducibili all’acqua, fornendo la prima evidenza diretta della presenza di acqua nei crateri del polo Sud lunare sempre in ombra.

Nel settembre 2011 partono le missioni gemelle Gravity Recovery and Interior Laboratory (GRAIL) A e B con l’intento di mappare il campo gravitazionale della Luna per determinare la sua struttura interna. Alla fine della loro missione le due sonde sono state fatte precipitare sulla Luna nel dicembre 2012.

Nel settembre 2013 parte il Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer (LADEE), una missione che oltre a fare ricerca sulla esosfera lunare e sulla presenza di polvere, vuole essere un dimostratore tecnologico per provare le comunicazioni laser. Alla fine della vita operativa, sette mesi dopo il lancio, viene fatta schiantare sulla faccia nascosta della Luna.

Torniamo al programma lunare cinese perché salta subito all’occhio che la Cina, ultima potenza spaziale a mettersi in gioco, è quella che dimostra di voler seguire una sequenza in crescendo ben precisa, dove ogni missione fa qualcosa in più della precedente. Hanno iniziato con Chang’e 1 e 2 (nel 2007 e nel 2010) per impadronirsi della tecnologia dell’inserzione in orbita lunare. Poi, nel 2013, hanno fatto allunare Chang’e 3 che ha fatto scendere sul suolo lunare un piccolo rover chiamato Yutu (coniglio di giada). Era il primo allunaggio dall’ultima visita sovietica del 1976. Ma le ambizioni dell’agenzia spaziale cinese non si sono esaurite qui. Per dimostrare di non essere secondi a nessuno, hanno fatto qualcosa che nessuno aveva mai osato fare: allunare sul lato nascosto del nostro satellite e stabilire i contatti con la sonda attraverso un ponte radio circumlunare, preparato in precedenza.

Infatti, il 21 maggio 2018 hanno lanciato Queqiao che si potrebbe tradurre con ponte di gazze. L’immagine evocativa è tratta da una favola cinese dove le gazze uniscono le loro ali per fare un ponte e permettere a due amanti, che vivono nei lati opposti della nostra galassia, di incontrarsi. Queqiao è stato piazzato al di là della Luna per descrivere un’orbita particolare centrata sul punto lagrangiano L2, a circa 60000 km dalla superficie della Luna proprio sopra la faccia nascosta. Se il satellite fosse posizionato in L2 sarebbe stabilissimo perché lì l’attrazione gravitazione della Terra e della Luna si combinano ad eguagliare l’accelerazione centrifuga, ma sarebbe purtroppo invisibile da Terra perché nascosto dal corpo della Luna. Per poter dialogare con il satellite occorre farlo orbitare intorno a L2 in modo da tenerlo fuori dall’ombra della Luna pur continuando a sfruttare la combinazione gravitazione favorevole, che permette di mantenere la situazione stabile con poco dispendio di carburante. In più, l’orbita scelta permette di vedere sempre il Sole che può così fornire continuamente energia al satellite illuminando i suoi pannelli solari. In questo modo (illustrato nella fig. 2), il satellite è sempre in vista della Terra e potrà fare da ripetitore. Queqiao ha anche un riflettore laser, che permetterà di misurare con estrema precisione distanza tra la Terra e la sonda (quindi mappare con accuratezza il campo gravitazionale della Luna), ed uno strumento radio fornito da radioastronomi olandesi, nel quadro di una collaborazione tra Olanda e Cina, per sfruttare la quiete radio dell’orbita.

Poi a dicembre 2018 è stata lanciata Chang’e 4 che, a inizio 2019 è allunata nel cratere von Karman, che è vicino al polo Sud lunare, sulla faccia nascosta della Luna. L’esplorazione della zona, che è uno dei crateri più profondi e, quindi, più interessanti, viene fatta dal rover Yutu 2 (come si vede dalla fig. 3).

Chang’e 4 è una missione molto difficile da gestire dal punto di vista tecnico proprio perché non è mai in vista della stazione di Terra. Tutto deve passare dal ripetitore che funziona egregiamente. Per studiare la crescita di piante in ambiente lunare, sul lander c’è una mini serra provvista di semi di cotone, di Arabidopsis oltre che a uova di moscerini della frutta. Alcuni semi di cotone sono stati fatti germogliare subito dopo l’allunaggio (fig. 4), una prima volta importante per la prima missione ad allunare sulla faccia nascosta della Luna. Purtroppo, però, la sonda non aveva abbastanza energia per mantenerli a temperatura accettabile ed i germogli non sono sopravvissuti al gelo della lunga notte lunare. Riproveranno sicuramente con altri semi perché la botanica lunare è un capitolo tutto da scrivere.

La missione è dedicata ad una dea della mitologia cinese e anche il nome del satellite che fa da ponte radio e il rover hanno nomi ispirati da favole cinesi. Il luogo dell’allunaggio è stato chiamato “Statio Tianhe” (ovvero, fiume celeste) e, visto che i cinesi sono stati i primi a raggiungerlo, l’Unione Astronomica Internazionale ha approvato ufficialmente il nome. Analogamente, la missione avrà il privilegio di proporre i nomi da assegnare ai luoghi visitati da Yutu 2 che, con ogni probabilità, continuerà ad attingere dalla ricca tradizione favolistica cinese.

La missione, di certo, non è una favola ma, piuttosto, è la prova di quanto reale sia l’interesse della Cina per l’esplorazione (e la conquista) della Luna e delle sue risorse.

In effetti, la Cina mira a diventare la nazione leader dell’esplorazione spaziale. Non dimentichiamo che è la terza nazione (dopo Russia e Stati Uniti) a poter lanciare i suoi tachionauti (così si chiamano gli astronauti cinesi) e sta facendo le sue esperienze nella costruzione e gestione di stazioni orbitanti chiamate con il poetico nome di Tiangong, cioè Palazzo Celeste. Mentre Tiangong-1 è rientrata fuori controllo mesi fa, è già attiva Tiangong-2 che viene regolarmente visitata dai tachionauti e Tiangong-3, alla quale pianifica di partecipare anche l’Agenzia Spaziale Italiana, è in preparazione. Dal momento che l’amministrazione Trump ha proposto di interrompere i finanziamenti alla International Space Station (ISS) nel 2025, i cinesi con i loro palazzi celesti potrebbero restare padroni delle orbite circumterrestri.

Tanto per mettere le cose nella giusta prospettiva, nel 2018 l’agenzia spaziale cinese ha superato Russia e Stati Uniti nel numero dei lanci effettuati.

Sono una grande nazione, hanno grandi risorse e le vogliono puntare con decisione sullo spazio. Hanno capito che i successi spaziali sono sorgente di orgoglio popolare e spingono lo sviluppo tecnologico. Un’accoppiata vincente che ha funzionato benissimo per la conquista della Luna 50 anni fa, ma che noi abbiamo un po’ dimenticato.

2 Nuovi piani di esplorazione umana

Ha iniziato George W. Bush che, nel 2004, ha annunciato di voler fare partire un programma di ritorno alla Luna basato sul programma Constellation composto da un potente lanciatore (ARES 1), da una nuova capsula (Orion) per il trasporto degli astronauti e da un nuovo modulo lunare (Altair). Destinava al programma 12 miliardi di dollari in 5 anni, dei quali, però, solo 1 miliardo sarebbe stato aggiunto, tutto il resto sarebbe dovuto venire dal budget NASA e dalle collaborazioni internazionali che la nuova visione spaziale di Bush auspicava, seguendo il modello della Stazione Spaziale Internazionale. Niente sfide e niente corse ma, piuttosto, un ritorno in compagnia di amici che si accordano per dividere i costi del viaggio. L’annuncio di Bush ha sollevato interesse unito a molte critiche perché dava alla NASA una missione che l’esperienza del programma Apollo aveva dimostrato essere alquanto costosa, senza fornire i finanziamenti adeguati. A budget costante, la NASA doveva inventarsi un nuovo programma lunare molto simile ad Apollo, solo più grande tanto da meritarsi la definizione, scherzosa ma non troppo, Apollo on steroids (Apollo gonfiato, come gli atleti che prendono gli steroidi). Certo, l’idea piaceva alle industrie che vedevano la possibilità di ricchi contratti, ma perché tornare sulla Luna quando Marte è lì che ci aspetta? Chiaramente investire le poche risorse disponibili in un programma lunare sarebbe andato a detrimento della possibilità di progettare una missione umana a Marte.

3 Luna o Marte?

In occasione del 40 anniversario della missione Apollo 11, nel 2009, WIRED chiese a Giovanni Bignami di essere il guest editor del numero di luglio dedicato alla Luna e lui scrisse un pezzo intitolato Non voglio mica la Luna (fig. 5) che riassume in dieci punti tutte le ragioni che dovrebbero indurci a lasciar perdere la Luna in favore del più fascinoso Marte.

Per gentile concessione di Wired, riprendo parte del testo con i 10 punti della discordia (aggiungendo qualche commento in corsivo perché, in 10 anni, qualcosa è cambiato).

… E allora, proviamo a festeggiare il quarantennale dell’Apollo 11 in modo diverso. Proponendo dieci motivi per non andare sulla Luna. O per andarci solo se…

Quattro ragioni scientifiche

1. Non si va senza un obiettivo chiaro. La comunità scientifica ha partorito idee interessanti ma non sufficienti. Fare astronomia dalla Luna, pur avendo un grosso potenziale, si scontra con insormontabili difficoltà pratiche, dagli sbalzi di temperatura alla polvere del suolo. L’obiettivo potrebbe essere il radiotelescopio montato e operato sulla faccia nascosta della Luna. Sarebbe schermato dal rumore elettromagnetico che inquina il nostro etere, ma non potendo trasmettere i dati sulla Terra, avrebbe bisogno di un “relay satellite” dedicato. Troppo costoso rispetto al possibile ritorno scientifico. (È esattamente quello che stanno facendo i cinesi con la loro sonda sulla faccia nascosta della Luna.)

2. Non si va per ottenere dati che abbiamo già. La grande maggioranza dei campioni di suolo lunare prelevati dai vari Apollo (382 kg) giace inutilizzato in un deposito a Houston. (La NASA dice di voler preservare gran parte dei campioni lunari per permettere analisi con strumentazione futura certamente più potente di quella attuale e ha recentemente deciso di aprire uno dei contenitori ancora sigillati proprio per questo scopo.) Sulla Luna c’è anche una rete di sismografi che ci danno una buona idea delle (modeste) proprietà sismiche del satellite. C’è ancora molto da imparare, certo, ma la presenza umana non è indispensabile.

3. Non si va per fare quello che si può fare da terra o dalla stazione spaziale. L’osservazione e il controllo del clima della Terra, per esempio, sono fatti infinitamente meglio in modo globale da sonde automatiche più vicine al pianeta che non da personale umano sulla superficie della Luna.

4. Non si va per far fare agli astronauti quello che può fare un robot. Un esempio qui è la ricerca dell’acqua, da molti presentata come una ragione importante per il ritorno dell’uomo sulla Luna. (è proprio lo sfruttamento del ghiaccio lunare uno degli argomenti sul tavolo del ritorno alla Luna.)

Due ragioni tecnologiche

5. Non si va per farci quello che abbiamo già fatto. Ovvero, si va solo se esiste un vero programma tecnologico innovativo. Se pensiamo di crearci una base (a qualunque cosa serva), ci vorrà dello sviluppo tecnologico interessante.

6. Non si va solo per dimostrare che sappiamo rifare quello che abbiamo fatto mezzo secolo prima. In altre parole, vale la pena di tornarci solo se riportare un equipaggio umano sulla Luna implica un avanzamento tecnologico rilevante. Per ora, non si vede alcuna innovazione. Due sono sempre i punti fermi: la distanza Terra-Luna, a meno di uno o due metri, è rimasta costante, e la massa dell’astronauta medio anche. Intorno a queste due realtà fisiche semplici si costruisce una missione abitata lunare. Finora, le idee tecnologiche per portare esseri umani sulla Luna sono identiche a quelle di Von Braun e Rocco Petrone dei primi anni '60, con un po’ di potenza in più.

Due ragioni pratiche

7. Non si va senza una vera idea di quali applicazioni sfruttare. Si è fatto un gran parlare di “miniere lunari”, senza che venisse un solo esempio concreto sulla potenziale convenienza di un qualunque minerale lunare portato sulla Terra (a prezzo, letteralmente, astronomico).

8. Non si va per estrarre l’acqua. (lasciata nel fondo dei crateri da qualche cometa sperduta). A meno che, naturalmente, si sviluppi una applicazione, finora impensabile, grazie alla quale con l’acqua estratta in situ si possa produrre più energia di quella necessaria all’estrazione stessa, contando tutto, anche il carburante per il trasporto, ecc. Ma l’idea stessa, cioè un impianto di estrazione e trasformazione chimica, è pura fantascienza, pericolosamente approssimativa, o è in realtà ancora da studiare davvero? (Ci sono piani proprio per estrarre e sfruttare economicamente il ghiaccio lunare usando energia solare.)

Due ragioni strategiche

9. Non si va per poi ripartire per Marte da una base lunare. È giusto che si pensi a un progressivo allenamento di uomini e mezzi prima del grande balzo verso Marte. Che sarebbe l’unica vera grande impresa spaziale in grado di caratterizzare il nostro secolo, come la Luna caratterizzò il secolo passato. Ma pensare di atterrare sulla Luna e poi dalla Luna ripartire per Marte è un doppio spreco di energia … Ovvio che per andare su Marte convenga appoggiarsi a una base orbitante vicino alla Terra o magari ferma nel punto di equilibrio gravitazionale tra la Terra e la Luna. Ma questa è un’altra storia. (La base cislunare è il perno del programma del Presidente Trump.)

10. Non si va per dimostrare che i paesi più avanzati sanno fare meglio quello che fanno i paesi di seconda fila. Fuor di metafora, non si va sulla Luna solo perché i cinesi hanno detto che ci andranno.

4 Cambi di programma

Giusta o sbagliata che fosse, l’idea di G. W. Bush non ebbe modo di svilupparsi perché, con il cambio della Presidenza USA, cambiarono le priorità della ricerca spaziale. Mentre si tratta di un atteggiamento comprensibile dal punto di vista politico, è deleterio dal punto di vista programmatico. Infatti, per conseguire risultati significativi nello spazio bisogna essere focalizzati su un obiettivo ben preciso che goda di un supporto politico di lungo termine.

La politica spaziale della Presidenza Obama inizia con una rivoluzione perché si decide di aprire lo spazio ai privati, visti non come esecutori di contratti ma, piuttosto, come protagonisti. Contrariamente a quanto fatto fino ad allora, la NASA non avrebbe più progettato i suoi lanciatori e le sue capsule, affidando poi i contratti di costruzione alle industrie. Invece, si sarebbe limitata a descrivere in termini generali le funzioni che i razzi o le navicelle avrebbero dovuto svolgere, lasciando poi il lavoro di progettazione alle compagnie private in modo che ognuna potesse arrivare a proporre una soluzione a prezzi competitivi. L’idea di fondo era di riuscire ad abbassare i costi dell’accesso allo spazio grazie alla concorrenza tra diverse cordate industriali e all’allargamento del mercato. Le grandi industrie aerospaziali si sono ovviamente fatte avanti, ma si sono trovate in compagnia. Poter giocare un ruolo importante nell’avventura spaziale ha stuzzicato l’amor proprio di diversi miliardari che si sono gettati nell’impresa. Elon Musk ha realizzato Space X, che è oramai una realtà consolidata con un solido rapporto con la NASA. Per contro, Jeff Bezos, con Blue Origin, e Richard Branson, con Virgin Galactic, si vogliono concentrare sul turismo spaziale, iniziando con i voli suborbitali, più facili da realizzare e certamente più redditizi. Tuttavia, Jeff Bezos guarda lontano e ha già allo studio un modulo di allunaggio.

Per quanto riguarda il programma di esplorazione, il Presidente Obama nel 2010 decide che l’obiettivo non sarebbe più stato la Luna. La NASA avrebbe dovuto cercare di usare una sonda robotica per spostare un piccolo asteroide nell’orbita lunare dove avrebbe costruito una piccola stazione spaziale. Si sarebbe chiamata Gateway, un cancello per aprire ai terrestri i viaggi interplanetari, posizionato in orbita lunare. Gli astronauti avrebbero poi usato la stazione come base per studiare l’asteroide. Quest’idea, conosciuta come Asteroid Redirect Mission, avrebbe dovuto essere uno dei pilastri per suscitare l’interesse dei privati nello spazio. Sfruttare le risorse minerarie degli asteroidi potrebbe essere molto promettente dal punto di vista economico, se si riuscisse a mitigare i rischi dell’impresa. La Asteroid Redirect Mission non è, però, sopravvissuta a lungo e, verso la fine della seconda presidenza Obama, la Casa Bianca ha chiesto alla NASA di concentrare gli sforzi per mandare un equipaggio umano su Marte prima del 2040. Il Gateway è stato inserito nel nuovo progetto perché, come fatto notare da Nanni Bignami, partire dall’orbita lunare è più conveniente dal punto di vista energetico.

Tuttavia neanche questa direttiva è durata a lungo. Nel 2017, Trump ha cestinato l’obiettivo Marte, sostituendolo con la Luna. Il progetto Gateway però era già in movimento e non è stato cancellato anche perché diversi partner internazionali lo avevano già sottoscritto. Sia come sia, per la prima volta in cinquant’anni, gli Stati Uniti, sostenuti dall’industria privata e da partner internazionali, si sono impegnati a tornare sulla Luna e a farlo in tempi concreti. Nel dicembre del 2017 Donald Trump ha firmato la prima di tre direttive sulla politica spaziale, riportando l’esplorazione umana della Luna in cima all’agenda della NASA.

Il tipo di spedizione a cui gli Stati Uniti puntano non è più quello “a bandiere e impronte”, con veicoli usa e getta utilizzati per brevi esplorazioni, in cui si resta per qualche giorno per poi tornare dritti a casa: questa volta vogliono rimanere sulla Luna e in orbita intorno alla Luna a lungo termine. Punto focale del nuovo sistema sarà proprio il Lunar Orbital Platform-Gateway: una mini stazione spaziale in orbita intorno alla Luna formata da uno o due moduli abitabili, ognuno delle dimensioni di un piccolo autobus, più un modulo per la propulsione e altri due che servirebbero come punto di attracco oltre che per permettere il passaggio tra parte abitata della stazione e l’esterno da utilizzare per le uscite (e le entrate) delle attività extraveicolari.

Gli astronauti NASA ci arriverebbero a bordo delle nuove navicelle spaziali “commerciali” attualmente in costruzione da parte di Space X e Boeing. Nell’aprile 2018, la NASA ha presentato la squadra dei nove astronauti che ha selezionato per i voli “commerciali”. Per fortuna, il gruppo comprende due signore: oggi sarebbe impossibile pensare ad una squadra di astronauti solo al maschile.

Il primo lancio di prova della navetta Crew Dragon di Space X –simile ai vecchi modelli Apollo, ma decisamente più confortevole e capiente– è avvenuto a marzo di quest’anno in occasione del cinquantenario del lancio di Apollo 9. La navetta Starliner, prodotta dalla Boeing, seguirà a ruota.

5 I piani di esplorazione lunare umana

Una volta arrivati a bordo del Gateway, gli astronauti dovrebbero vivere nella stazione circumlunare per periodi fino a sei settimane. Dal Gateway sarà possibile effettuare spedizioni sulla superficie lunare in moduli di atterraggio simili a quelli dell’era Apollo. A differenza dei vecchi lander, però, questi sarebbero riutilizzabili e quindi molto più convenienti sul lungo periodo. La chiamano la soluzione camper, in attesa che si trovi il modo di costruire delle infrastrutture lunari. L’ESA da anni sogna la costruzione di un Moon Village con strutture permanenti dove astronauti possano vivere e lavorare (fig. 6). Costruire sulla Luna implica imparare ad utilizzare il materiale disponibile in loco per evitare proibitive spese di trasporto. I moduli abitativi devono essere protetti dalla pioggia di raggi cosmici che, senza lo scudo di un campo magnetico planetario, costituiscono un pericolo per la salute degli astronauti. Bisogna quindi prevedere coperture con regolite lunare magari compattata con trattamenti laser, a meno che non si decida di sfruttare le strutture sotterranee, simili ai tunnel di lava che esistono sulla Terra, che sono state rivelate dal radar di Kaguya. Un bel tunnel sotterraneo sarebbe già protetto e basterebbe installare un modulo gonfiabile che permetterebbe di pressurizzare la parte da destinare agli astronauti. L’energia necessaria agli abitanti, alle eventuali serre per coltivare verdura, e alle macchine deve essere fornita dal Sole che è sempre presente per due settimane ma poi non si fa vedere per altrettanto tempo. L’energia va quindi immagazzinata in modo efficiente perché nella notte lunare le temperature diventano bassissime e non si vuole certo rischiare il congelamento delle persone, delle piante e delle macchine. Per evitare la triste fine dei germogli di cotone di Chang’e 4 senza dover trasportare pesanti batterie per l’accumulo dell’energia, si potrebbe scegliere in modo oculato la location della base lunare mettendola in una delle poche località (vicine ai poli) che godono di illuminazione quasi permanente. Il Peak of Eternal Light, che, come dice il nome, è sempre illuminato, sarà sicuramente molto gettonato.

Quelli che mancano non sono le idee e i progetti. Il vero problema sono i fondi. Rimane sempre vero che obiettivi importanti richiedono fondi importanti e il bilancio della NASA (così come quello dell’ESA) è stagnante da anni. E anche se, nell’esplorazione spaziale del ventunesimo secolo, i privati hanno un ruolo che non avevano nel ventesimo, il costo dei pezzi iniziali per le attrezzature del Gateway, e per l’eventuale base lunare, dovrà essere coperto dalla NASA e dai partner internazionali.

Secondo le previsioni attuali, il primo componente del Gateway, spedito da razzi senza equipaggio, potrebbe essere mandato in orbita intorno alla Luna nel 2022. Nel 2023 un equipaggio farebbe il primo volo di prova sull’Orion, circumnavigando la Luna e tornando indietro, come fece Apollo 8.

Il carismatico Elon Musk ha già trovato il modo di trasformare questo test in un evento mediatico che gli porterà pubblicità e centinaia di milioni di dollari perché ha venduto i primi biglietti a turisti lunari. Il viaggiatore pagante è Yusaku Maezawa, un miliardario giapponese che ha ammassato una considerevole fortuna con il sito di shopping online Zozo e che vuole comperare un passaggio per sé e per un ristretto numero di artisti che avranno la possibilità di farsi ispirare dai paesaggi straordinari che vedranno. Se visitate il sito https://dearmoon.earth potrete capire perché un miliardario sensibile al fascino dell’arte vuole andare sulla Luna in compagnia di un circolo di artisti.

Elon Musk ha venduto qualcosa che ancora non esiste. Mentre la capsula Crew Dragon è in corso di test, il lanciatore per portarla intorno alla Luna è ancora in costruzione. Si chiamerà B.F.R. per Big Falcon Rocket e, sulla carta, dovrebbe essere più potente del Saturno V. Se non ci saranno ritardi, i turisti lunari possono sperare di fare il loro viaggio nel 2023. Il test circumlunare della capsula Crew Dragon (insieme al lanciatore B.F.R.) sarà il passo necessario per cominciare ad abitare, nello stesso anno, la stazione Gateway. Poco dopo, lo stesso equipaggio potrebbe fare l’ultimo passo e atterrare sulla superficie lunare. Con questo metodo, la NASA aveva in programma di portare astronauti sulla Luna entro la fine del prossimo decennio.

I piani, però, hanno avuto una improvvisa accelerazione quando il vicepresidente degli Stati Uniti, parlando il 26 marzo 2019 allo National Space Council, ha dichiarato che gli astronauti americani devono tornare sulla Luna entro 5 anni utilizzando tutti i mezzi necessari. La NASA deve dimostrare coraggio e accettare un’altra sfida che è, più che altro, di natura economica.

Per capire l’entità del problema, bisogna considerare l’evoluzione dei finanziamenti della NASA dalla sua istituzione (nel 1958) ad oggi (fig. 7).

Il grafico è spietatamente chiaro nel mostrare il picco di finanziamenti legati allo sviluppo del programma Apollo. Oltre al valore del finanziamento (che è normalizzato al 2009) è interessante notare la riga marrone che indica il rapporto tra il budget NASA e il PIL federale USA. Al picco del programma Apollo, quando bisognava sviluppare tutto, la NASA aveva un budget pari al 4,5% del budget federale. Adesso è intorno allo 0,5%. La sfida di Kennedy aveva conferito una priorità straordinaria al programma spaziale che per un breve momento storico ebbe la precedenza sulla corsa agli armamenti nucleari. E i risultati si sono visti.

Con un budget annuale di circa venti miliardi di dollari, la NASA ne destina solo metà alle esplorazioni umane. Solo metà di questa metà può essere usata per il programma lunare, perché il resto serve per le operazioni a supporto della Stazione Spaziale Internazionale. Il fatto che i fondi siano attribuiti con il contagocce è il motivo principale per lo sviluppo così lento di capsule e razzi vettori, non si può fare finta che ci sia lo stesso supporto finanziario su cui la NASA poteva fare affidamento ai tempi della corsa verso la Luna degli anni '60. Nel suo discorso di marzo il vicepresidente non ha parlato di finanziamenti, tuttavia era inevitabile che i nodi venissero al pettine. La NASA ci ha messo circa due mesi a quantificare l’aumento necessario per l’accelerazione lunare e la Casa Bianca ha chiesto al congresso un aumento di 1,6 miliardi. A giudicare da quello che si legge, la proposta è stata accolta in modo un po’ freddino soprattutto perché prevede di “pescare” questo finanziamento aggiuntivo dal fondo destinato all’aiuto degli studenti bisognosi. Il Congresso (a maggioranza democratica) ha fatto sapere che troverebbe più ragionevole prendere questi fondi dal budget destinato alla creazione della Space Force, un’altra delle idee di Trump. Qualche esponente politico di peso ha anche fatto notare che non è stato ben spiegato perché la presidenza Trump abbia deciso di accelerare il ritorno alla Luna.

6 Rimane da capire perché vogliamo tornare sulla Luna

A parte l’interesse scientifico, dobbiamo capire se vogliamo stabilire un insediamento, più o meno permanente, perché speriamo che sia possibile trarne qualche tipo di vantaggio o se pensiamo sia meglio utilizzare la Luna come allenamento in vista dell’esplorazione di Marte.

In fondo, la Luna è dietro l’angolo mentre Marte è a nove mesi di viaggio. La Luna, quindi potrebbe essere un banco di prova per le strutture che serviranno a colonizzare Marte: i rover, gli habitat, i sistemi di alimentazione, le strutture necessarie per gli insediamenti a lungo termine. Inoltre, la Luna potrebbe offrire la possibilità di mettere a punto dei modelli di business per vedere se lo sfruttamento delle Astronomi avventurosi, che non temono né la terribile escursione termica, né la regolite abrasiva e attaccaticcia, pensano che la Luna sia un posto straordinario per costruire strumenti molto competitivi. Senza atmosfera, sulla superficie della Luna sarebbe possibile costruire ogni tipo di telescopio per studiare raggi ultravioletti, X e gamma. Inoltre, in ottico, la qualità delle immagini sarebbe simile a quella dei telescopi spaziali. La vera peculiarità della Luna, però, è nella faccia nascosta che risulta essere il luogo più silenzioso dell’universo. Infatti, non “vedendo” mai la Terra, è completamente protetta dal rumore elettromagnetico prodotto dalle stazioni radio-televisive e dai ripetitori telefonici (senza parlare dei sistemi di sorveglianza militari) che abbiamo disseminato sul nostro pianeta. Costruire un radiotelescopio sulla faccia nascosta della Luna è il sogno proibito dei radioastronomi che guardano con grande interesse (e invidia) alla missione cinese Chang’e 4 che ha anche un piccolo strumento radio. In effetti, gli astronomi hanno un tale interesse nelle potenzialità offerte dalla faccia nascosta della Luna che vorrebbero riuscire a proteggerne la parte centrale, evitando che venga usata, e contaminata, per fini commerciali.

A parte l’interesse scientifico, dobbiamo capire se vogliamo stabilire un insediamento, più o meno permanente, perché speriamo che sia possibile trarne qualche tipo di vantaggio o se pensiamo sia meglio utilizzare la Luna come allenamento in vista dell’esplorazione di Marte. In fondo, la Luna è dietro l’angolo mentre Marte è a nove mesi di viaggio. La Luna, quindi potrebbe essere un banco di prova per le strutture che serviranno a colonizzare Marte: i rover, gli habitat, i sistemi di alimentazione, le strutture necessarie per gli insediamenti a lungo termine. Inoltre, la Luna potrebbe offrire la possibilità di mettere a punto dei modelli di business per vedere se lo sfruttamento delle risorse naturali di un corpo celeste possa essere economicamente vantaggioso.

La prima idea che è stata proposta vorrebbe sfruttare il ghiaccio nascosto negli anfratti sempre in ombra dei crateri lunari, per scomporlo in idrogeno e ossigeno da utilizzare come carburanti per i viaggi interplanetari. L’acqua è la benzina dello spazio, dicono i sostenitori del progetto, che vuole usare la radiazione solare convogliata da appositi specchi per riscaldare i depositi di ghiaccio nel fondo dei crateri polari, trasformando il ghiaccio in vapore d’acqua che poi andrebbe sottoposto ad elettrolisi per produrre idrogeno e ossigeno, sempre utilizzando l’energia gentilmente offerta dal Sole. Sono tutte operazioni tecnicamente fattibili, il problema è renderle economicamente competitive in modo che quello che si ricava possa essere venduto ad un prezzo interessante, senza distruggere la splendida desolazione del nostro satellite. Bisogna anche considerare che ogni tipo di attività lunare solleva polvere elettricamente carica e terribilmente abrasiva (oltre che tossica) che si attacca a tutto, implicando continuo lavoro di manutenzione dei macchinari.

Se vogliamo tornare sulla Luna, è imperativo rispettare la fragile ecologia di questo corpo celeste che già “ospita” molte tonnellate di ferraglia umana. Far atterrare veicoli spaziali e mantenere in operazione insediamenti umani può avere un impatto duraturo (e devastante) sull’ambiente lunare. Si stima che ci siano voluti 24 anni dopo la partenza dell’ultimo astronauta dalla Luna perché l’ambiente ritornasse allo stato in cui era prima delle missioni Apollo.

Riusciremo a vedere qualcosa prima che la prossima amministrazione cambi ancora le priorità?

Mezzo secolo di esperienza spaziale non ha reso il viaggio meno impegnativo. Oggi conosciamo in dettaglio i rischi (e i costi) dell’impresa. Abbiamo tutta la tecnologia necessaria e sappiamo come sviluppare quanto non è ancora disponibile, ma, per riuscire, bisogna crederci (oltre a poter contare su adeguati finanziamenti).