How Solid Earth is changing due to its own internal dynamics

R. Sabadini


Come sta cambiando la Terra Solida a causa della propria dinamica interna

1 Processi globali di Terra Solida

La parte solida della Terra, che nella porzione più esterna del nostro pianeta coincide con le terre emerse dove viviamo e dove insistono le nostre costruzioni che da millenni contribuiscono al nostro patrimonio culturale, è soggetta a continui cambiamenti generalmente lenti ma a volte repentini, come durante un evento sismico. Tali cambiamenti lenti, appena percettibili durante la nostra vita, fanno sì che la percezione che noi abbiamo della parte solida del nostro pianeta sia quella di un oggetto rigido, non deformabile: in realtà anche la parte solida della Terra si deforma, si modifica continuamente, con tempistiche alquanto diverse. Quando abbiamo sentito le mura delle nostre case tremare a causa delle onde sismiche, abbiamo avuto la percezione di un processo veloce, repentino e abbiamo istintivamente attribuito a tale fenomeno, anche se non esperti del campo come un sismologo, un tempo caratteristico dei secondi o minuti. Se lungo una spiaggia ci è capitato di osservare una modifica delle linea che separa la terra e il mare, rispetto ad esempio alla memoria di anni prima, abbiamo forse pensato ad un fenomeno che agisce con una tempistica confrontabile con la lunghezza della nostra vita. Questi due esempi mostrano che la parte solida della Terra è sia elastica, in grado di rispondere istantaneamente al passaggio di un onda sismica, sia duttile, con deformazioni che possono contribuire a cambiamenti su una tempistica confrontabile con la vita umana. Ebbene, questa distinzione tra comportamento elastico e duttile, per meglio dire viscoso, ci permette di introdurre la struttura del nostro pianeta rilevante per interpretare i fenomeni di cui ci occupiamo in questo articolo: oggi sappiamo che la Terra tra il nucleo esterno che ha un raggio di circa 3470 km e la superficie terrestre che ha un raggio di 6371 km si comporta su tempi brevi come un materiale elastico, mentre tra il nucleo esterno e un raggio di circa 6270 km, quindi fino alla profondità di circa 100 km, oltre alle proprietà elastiche presenta un comportamento viscoso quando “osserviamo” il nostro pianeta in una finestra temporale tra le decine di anni, confrontabili quindi con la lunghezza della nostra vita, e le centinaia di milioni di anni, confrontabili con la “vita” stessa della Terra di circa 4.5 miliardi di anni. La parte più esterna essenzialmente elastica tra 6371 e 6271 km costituisce la litosfera, mentre la parte tra 6271 e 3470 km, sia elastica che viscosa, costituisce il mantello. Può sembrare strano che il mantello si comporti sia come un materiale elastico sia come un fluido viscoso: la spiegazione di questo apparente paradosso sta nella durata degli sforzi che agiscono nel mantello in grado di agire per tempi lunghissimi, dagli anni alle centinaia di milioni di anni e all’esistenza di difetti cristallografici del materiale di mantello, sia mancanze di atomi sia dislocazioni: questi difetti cristallografici, sotto l’azione degli sforzi di taglio dovuti ai fenomeni fisici che interessano la litosfera e il mantello, migrano nel reticolo cristallino, in modo analogo alle particelle in un fluido, deformando quindi il materiale del mantello alla stregua di un fluido viscoso. Per questo motivo il mantello terrestre è convettivo al pari dell’acqua che bolle, con il ricircolo del materiale nella convezione di mantello che avviene in centinaia di milioni di anni mentre nel caso dell’acqua in ebollizione in pochi secondi: questa differenza nelle scale temporali è dovuta alla viscosità dei due mezzi, circa 1021–1022 pascal per secondo (Pa s) per il mantello e 10–3 Pa s per l’acqua alla temperatura di 20 °C: per ulteriore confronto, la viscosità del ghiaccio costituente i ghiacciai alpini è di circa 1013 Pa s. Il valore elevato del numero di Rayleigh per il mantello terrestre conferma che quest’ultimo è fortemente convettivo ed è riconducibile a questa dinamica il processo che più caratterizza a grande scala spaziale il nostro pianeta, ossia la subduzione delle litosfera oceanica nel mantello, la cui simulazione numerica è mostrata in fig.1: questo processo non avviene per esempio all’interno di Marte, pianeta del Sistema Solare che più assomiglia alla Terra e a cui attribuiamo una viscosità del mantello simile a quello terrestre.

La subduzione può essere vista come la parte fredda della circolazione convettiva, con la litosfera oceanica formatasi nelle dorsali oceaniche che si raffredda e diventa più densa a mano a mano che si allontana dalla dorsale e va in collisione con la litosfera continentale o con un’altra litosfera oceanica. Nella collisione la litosfera oceanica, gravitazionalmente instabile rispetto al mantello caldo, subduce nel mantello stesso, formando lo strato termico discendente della convezione. Questa regione di collisione costituisce la porzione della Terra, come la cintura di fuoco che circonda il Pacifico, dove avvengono i terremoti di magnitudo più elevata come quello di Sumatra di magnitudo di momento sismico $M_{w}=9.3$ del 2004 e quello di Tohoku-Oki di magnitudo $M_{w}=9.1$ del 2011, a causa delle elevate velocità orizzontali di collisione tra le placche che in queste due regioni sono di circa 7 cm/anno, tra Oceano Indiano e Pacifico rispetto all’Eurasia. Anche nel Mediterraneo abbiamo due subduzioni nell’Arco Egeo e nell’Arco Calabro dove in quest’ultimo la velocità di collisione tra la placca oceanica ionica e l’Eurasia è inferiore al centimetro all’anno, il che contribuisce a spiegare la magnitudo inferiore dei nostri terremoti rispetto a quelli della cintura di fuoco del Pacifico; nell’Arco Egeo la velocità di convergenza tra la litosfera ionica in subduzione e l’Eurasia è importante, di circa 3 cm/anno. La regione di collisione nelle zone di subduzione è luogo di importanti anomalie di gravità, dell’ordine di diverse centinaia di mGal (10–3 Gal o 10–3 cm/s2) tra il minimo negativo e il massimo positivo dell’anomalia rispetto all’accelerazione di gravità normale sulla superficie terrestre di circa 980 Gal: queste anomalie di gravità hanno una caratteristica forma dipolare nella direzione perpendicolare ai bordi di placca con due massimi che delimitano un minimo della gravità, quest’ultimo corrispondente alla fossa oceanica a 100 km in fig. 1 nel contatto tra le placche, ad indicare che nella regione di collisione sono presenti forti eterogeneità nella densità, sintomatiche di una importante dinamica interna. Vedremo in seguito come a queste anomalie di gravità dell’ordine delle centinaia di mGal si sovrappongano, durante i terremoti di magnitudo elevata, anomalie gravitazionali dell’ordine delle decine di μGal (10–6 Gal), a causa della deformazione che subisce il pianeta fino a grandi profondità durante i terremoti quali Sumatra e Tohoku-Oki, generati dal processo di subduzione.

In fig. 1, modificata rispetto ad una figura analoga, mostriamo una simulazione numerica del processo di subduzione dal punto di vista dell’anomalia termica per una subduzione oceano-continente da est verso ovest come in Giappone tra la litosfera oceanica del Pacifico verso l’Eurasia a 2.5, 5, 10 e 13 milioni di anni nei quattro riquadri (a)–(d) dall’inizio della subduzione, quando le due placche sono entrate in collisione, con la litosfera oceanica a destra e quella continentale a sinistra; in questa simulazione la velocità di convergenza di 5 cm/anno è confrontabile con quelle del Giappone e di Sumatra, il contrasto termico tra il fondo della cella convettiva e la sua parte superiore è di 1600 K e la viscosità del mantello è 0.5 x 1021 Pa s. Dopo 5 milioni di anni la litosfera oceanica fredda è entrata nel mantello fino ad una profondità di circa 200 km, mentre dopo 13 milioni di anni la porzione più profonda della subduzione ha raggiunto la profondità di 500 km ed è quindi vicina alla regione di transizione che separa il mantello superiore dal mantello inferiore, a circa 700 km di profondità, transizione bene individuata mediante tecniche sismologiche. Come possiamo osservare i contrasti termici associati al processo di subduzione possono essere dell’ordine di diverse centinaia di gradi Kelvin che contribuiscono, assieme alle trasformazioni di fase, a contrasti di densità sia positivi che negativi, dell’ordine di alcune centinaia di chilogrammi per metro cubo, dando origine a importanti instabilità gravitazionali e quindi alla convezione. La tomografia sismica e le anomalie di gravità confermano l’esistenza delle subduzioni, con velocità sismiche più elevate nella placca subdotta a causa della sua temperatura più bassa rispetto a quella del mantello circostante. La litosfera fredda subdotta produce una generale anomalia positiva di densità e quindi di gravità mentre il trasporto in profondità in prossimità della fossa oceanica di materiale crostale meno denso rispetto a quello di mantello produce un’anomalia di gravità negativa: il risultato è una caratteristica anomalia di gravità con due massimi positivi intercalati da un minimo negativo. La modellizzazione di questi processi, come in fig. 1, permette di ottenere rilevanti informazioni sulla dinamica di questo processo così importante per il nostro pianeta. I risultati sono ottenuti nell’ambito del progetto Gravitational Seismology finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA, European Space Agency, Activity Line 1: Scientific Data Exploitation, ESA ITT AO/1-9101/17/I-NB), che ha visto la collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano, in qualità di Prime Contractor, di Thales Alenia Space – Italy e dell’Institute of Geodesy of the University of Stuttgart, finalizzato alla fisica dei processi responsabili dei terremoti e dei terremoti stessi, attraverso un’indagine di tipo gravitazionale. Per chi fosse interessato, presso il website https://sites.unimi.it/grav_seismology dell’Università degli Studi di Milano si possono trovare informazioni sul progetto Gravitational Seismology, risultati ottenuti e pubblicazioni relative. La sismologia gravitazionale è quindi stata identificata come una nuova applicazione della Next Generation Gravity Mission (NGGM), un futuro progetto in fase di studio come successore della prima missione gravitazionale dell’ESA, Gravity and steady state Ocean Circulation Explorer (GOCE) e delle missioni congiunte National Aeronautics and Space Administration - Deutsches Zentrum für Luft (Deutsches Zentrum für LuftNASA-DLR), quali Gravity Recovery And Climatological Experiment (GRACE) e GRACE Follow-On (GFO). La gravità è infatti uno strumento consolidato dell’odierna osservazione della Terra dallo spazio. La misurazione del campo di gravità rivela lo stato di equilibrio di massa della Terra e le sue dinamiche e fornisce il geoide come riferimento equipotenziale del livello del mare: le variazioni di gravità e del geoide misurano i processi di scambio di massa nelle e tra le diverse parti della Terra, quali la Terra Solida, la Terra Fluida e la Criosfera, come avremo modo di vedere in seguito.

L’ESA ha quindi avviato studi preparatori verso una missione di gravità di nuova generazione, NGGM, basandosi sull’esperienza di GOCE, sull’utilizzo della tecnica di misurazione Satellite-to-Satellite Tracking (SST) tra due veicoli spaziali in orbita bassa, circa 300 km dalla superfice terrestre, e sull’utilizzo dell’interferometria laser come metrologia inter-satellite che Thales Alenia Space – Italy ha dimostrato essere un sistema particolarmente efficace per la misurazione della distanza tra i due satelliti, la cui variazione dipende dalla diversa gravità “sentita” da ogni satellite: questa tecnica permette di ottenere le variazioni di gravità in ogni punto della superficie terrestre in funzione del tempo. Rispetto a GRACE, la risoluzione temporale nel campionamento della gravità terrestre di NGGM viene migliorata facendo volare due coppie di satelliti nella cosiddetta costellazione di Bender, che prevede una coppia in un’orbita quasi polare e una coppia in un’orbita di media inclinazione, circa 66° rispetto all’equatore. Usando due coppie di satelliti si ottiene in breve tempo una copertura omogenea della Terra, con soluzioni del campo di gravità migliori di quelle fornite da GRACE. I dati gravitazionali possono essere affiancati ai dati del tipo Global Positioning System (GPS) che forniscono gli spostamenti della superficie della parte solida della Terra, come vedremo in seguito anche per il territorio del nostro Paese.

Un altro processo globale che sta modificando la Terra Solida è costituito dalla risposta di quest’ultima alla deglaciazione del Quaternario conclusasi circa 7000 anni fa, responsabile di un innalzamento globale del livello medio del mare di circa 130 metri, con variazioni tutt’ora in corso. Per comprendere l’importanza di questo processo di Terra Solida mostriamo in fig. 2 la componente lineare nel tempo dell’ammontare in millimetri all’anno di acqua da aggiungere, rosso, o togliere, blu, alla superficie terrestre in modo da riprodurre le variazioni di gravità fornite da GRACE nei cinque anni da agosto 2002 ad aprile 2007, da cui il nome di “acqua equivalente”, con una risoluzione spaziale di circa 300 km.

La scala dei colori indica che possiamo avere una perdita di massa fino a –90÷100 mm/anno nel blu scuro, fino a un aumento di massa +60÷70 mm/anno nel rosso. Un’altra caratteristica di questa figura che salta all’occhio è la coincidenza tra le zone in blu in cui è più alta la perdita di massa e i più importanti complessi glaciali che risiedono sui continenti, ossia il grounded ice del nostro pianeta, quali la Groenlandia, l’Antartide occidentale, l’Alaska, la Patagonia e in parte anche la regione himalayana. Osserviamo una perdita di massa anche nella regione dei laghi in centro Africa, riconducibile al ciclo idrologico di questa regione. Un discorso a parte riguarda la struttura dipolare con contributi sia positivo che negativo in Indonesia e sud-est asiatico, che come vedremo in seguito è dovuta al terremoto di Sumatra del 2004, evento compreso in questa serie di dati. Notiamo in questa figura anche delle vaste regioni con un aumento di massa, in particolare in nord America, in Antartide e nord Europa. Regioni con una debole perdita e guadagno di massa le osserviamo nell’America meridionale, nel bacino idrografico dei grandi fiumi, evidentemente correlati al ciclo idrologico del Rio delle Amazzoni. La perdita di massa nel complessi glaciali è dovuta alla fusione dei ghiacciai, con valori elevati soprattutto nella parte sudorientale della Groenlandia e nell’Antartide occidentale.

L’accumulo di massa in nord America, nel golfo di Botnia, che coincide con la parte settentrionale del mar Baltico e nell’Antartide è dovuto al sollevamento della crosta terrestre in seguito alla fusione dei grandi ghiacciai del Quaternario, in particolare il Laurenziano in nord America e il Fennoscandia nel Golfo di Botnia. La fusione di questi ghiacciai e la immissione dell’acqua risultante negli oceani, avvenuta in circa diecimila anni che è un tempo brevissimo per la Terra, ha prodotto una mancanza di massa sulla superficie delle regioni continentali soggette in precedenza al carico glaciale. La Terra sta riequilibrandosi sostituendo questa mancanza di massa mediante il sollevamento della crosta terrestre, come indicano con il rosso questi dati gravitazionali, evidentemente il tipo di dati migliore per quantificare il bilancio di massa in accordo con la legge di Newton. Visto che la deglaciazione è terminata come detto sopra circa settemila anni fa, è evidente che la Terra non ha risposto in modo elastico ossia istantaneo alla fusione dei ghiacciai, altrimenti oggigiorno non vedremmo nei dati gravitazionali il sollevamento della crosta terrestre: il processo di riequilibrio tuttora in corso indica che il mantello terrestre si sta comportando come un fluido viscoso e la viscosità di 1021–1022 Pa s per il mantello citata in precedenza è ottenuta mediante modelli matematici che simulano il processo di deglaciazione, fino a riprodurre le anomalie di gravità ottenuta da satellite, quindi fino a riprodurre la quantità di rosso nelle regioni in esame di fig. 2. Per riequilibrare questa mancanza di massa la Terra sta facendo fluire, mediante il meccanismo descritto in precedenza di migrazione di difetti cristallografici, il materiale di mantello dalle proprie regioni equatoriali verso le regioni polari e questo processo, che riduce evidentemente lo schiacciamento polare, è visibile anche nel dato gravitazionale relativo alla differenza tra il momento di inerzia polare ed equatoriale della Terra, in diminuzione. è interessante sottolineare che la fusione attuale dei ghiacciai produce un deficit di gravità e quindi di massa mentre quella del Quaternario produce attualmente un eccesso di massa: il motivo di questo apparente paradosso sta proprio nel comportamento deformativo della Terra che è elastico su tempi brevi, con la Terra che non compensa tutta la mancanza di massa risultante dalla fusione in atto, quindi blu in fig. 2, e viscoso sul tempi lunghi, migliaia di anni in questo caso, con la superficie terrestre in sollevamento nelle regioni deglaciate per permettere alla Terra di arrivare ad una situazione di equilibrio tale da compensare la mancanza di massa seguita alla deglaciazione del Quaternario. È anche interessante osservare che nell’Antartide occidentale la risposta elastica della Terra e quella viscosa alla deglaciazione del Quaternario sono processi entrambi attivi, il che rende difficile separare il contributo di ciascuno dai dati gravitazionali, visto che i satelliti registrano la gravità totale, somma dei due contributi. Questa difficoltà ha reso necessario sviluppare modelli di deglaciazione del Quaternario il più precisi possibili che ci hanno permesso di togliere dai dati di fig. 2 gli effetti gravitazionali odierni riconducibili alla deglaciazione del Quaternario e di stimare quindi il bilancio di massa attuale dovuto alla perdita di ghiaccio in Groenlandia e Antartide: il bilancio di massa in queste due regioni rappresenta oggigiorno una problematica importante per gli effetti del clima e per l’aumento del livello del mare, visto che l’acqua di fusione si riversa negli oceani. Facendo uso dei dati gravitazionali di GRACE e i più realistici valori dei parametri per il modelli di Terra Solida quali la viscosità del mantello, otteniamo per il bilancio di massa una perdita di –101±22 Gt/anno in Groenlandia e di –171±39 Gt/anno in Antartide, riferiti all’intervallo di tempo considerato 2002–2007. Questo tasso di perdita di massa in Groenlandia e Antartide contribuisce ad un aumento del livello del mare eustatico di 0.8 mm/anno: si deve però tenere presente che l’acqua risultante dalla fusione dei ghiacciai non si distribuisce uniformemente come in questa stima ma in modo tale da garantire che la superficie dei mari sia un’equipotenziale. Si tenga inoltre presente che questa stima non può essere considerata costante, in quanto si riferisce allo specifico intervallo 2002–2007.

2 La cintura di fuoco del Pacifico

Dopo avere trattato i due imponenti processi che deformano il nostro pianeta a scala globale e ne caratterizzano e ne modificano il campo di gravità, subduzione e risposta della Terra Solida alla fusione dei ghiacciai, consideriamo ora a scala spaziale più piccola quello che accade nella zona di contatto tra la placca in subduzione e quella continentale come in fig. 1. Nel 2011 in questa zona si è verificato il terremoto di Tohoku-Oki, tra i più potenti avvenuti nel nostro pianeta che al pari di quello di Sumatra del 2004 ha innescato uno tsunami con il conseguente grave danneggiamento della centrale nucleare di Fukushima che troviamo sulla costa prospicente la regione epicentrale. La fig. 3 mostra i dati GPS relativi agli spostamenti co-sismici della superfice terrestre in Giappone verificatisi in concomitanza con il terremoto dell’11 marzo 2011, orizzontali nel riquadro (a) e verticali nel riquadro (b). Sono inclusi i 1232 GPS posizionati sulla terraferma in Giappone e le 7 stazioni Ocean Bottom GPS (OB-GPS) posizionati sul fondale oceanico, i cui dati sono stati utilizzati per invertire la distribuzione dello slip, o dislocazione tra i due lembi della faglia durante il terremoto. La stella rappresenta l’epicentro del terremoto il cui ipocentro è stato localizzato ad una profondità di 24 km, in prossimità della fossa oceanica indicata dai triangoli neri in fig. 3, al contatto tra la placca in subduzione e quella continentale sul cui bordo insiste il Giappone; le stazioni GPS mostrate nelle caselle gialle in (a) e (b) sono state utilizzate per confrontare i dati modellizzati e osservati.

Tenendo conto delle diverse scale delle frecce con i diversi colori notiamo che gli spostamenti orizzontali e verticali più elevati sono localizzati all’interno del rettangolo giallo di fronte all’epicentro, con un massimo dello spostamento orizzontale di circa 5 m verso l’epicentro a est-sud-est e uno spostamento verticale diretto verso il basso, ossia verso il centro della Terra, di circa 1.5 m; allontanandosi dalla zona epicentrale, verso la parte settentrionale e meridionale, le frecce azzurre indicano spostamenti orizzontali dell’ordine dei decimetri, mentre quelli verticali diventano dell’ordine di diversi centimetri. Nel caso di questo terremoto, il Giappone ha avuto a disposizione per la prima volta i dati di sette OB-GPS, pressometri in grado di registrare lo spostamento dello strumento rispetto all’acqua circostante grazie alle variazioni di pressione, installati sul fondale oceanico proprio nella zona che in seguito sarebbe diventata l’epicentro del terremoto. Notiamo che rispetto ai circa cinque metri registrati sulla costa giapponese, lo spostamento dello strumento più vicino alla fossa oceanica indicata dai triangoli neri verso sinistra è coerente con la direzione dei GPS in terraferma ma l’intensità dello spostamento è molto più elevata, raggiungendo il valore massimo di circa 35 m, confrontabile con lo slip o dislocazione sulla faglia maggiore di 40 m nell’ipocentro del terremoto ottenuta dall’inversione di questi dati geodetici. Notiamo anche che rispetto allo spostamento verticale misurato in terraferma gli OB-GPS indicano la direzione opposta, ossia verso l’alto, con un valore massimo di circa 5 m: il valore così elevato per lo spostamento verticale di una vasta zona del fondale oceanico ci fa immediatamente comprendere quale sia stata l’origine dello tsunami che ha devastato la costa del Giappone prospicente la regione epicentrale.

A causa dell’improvviso spostamento verticale di una vasta area del fondale oceanico, la colonna d’acqua sovrastante è diventata gravitazionalmente instabile, generando quindi lo tsunami. Il terzo riquadro a destra di fig. 3 mostra uno schema semplice del terremoto a faglia inversa (thrust) come quello di Tohoku-Oki dove le due parti della faglia, rappresentata in sezione dalla linea compresa tra le due frecce con direzione opposta, subiscono una dislocazione co-sismica coerente con il movimento indicato nella fig. 1 nella porzione di crosta terrestre corrispondente: questo schema permette di inquadrare gli spostamenti misurati mostrati nei riquadri (a) e (b) quando si tiene presente che il Giappone è posizionato nella parte a sinistra della porzione di crosta in marrone chiaro mentre gli OB-GPS sono posizionati sulla crosta in forte sollevamento, sopra la regione triangolare compresa tra la faglia e la linea nera sottile che indica la superficie della crosta prima del terremoto. Lo spostamento orizzontale è sempre verso destra, coerente con la freccia sovrastante la faglia diretta verso l’oceano. Questo schema mostra anche in modo efficace il sollevamento della colonna d’acqua nella zona epicentrale e il simultaneo sprofondamento della colonna d’acqua sovrastante la crosta che ha subito uno spostamento verticale verso il basso e quindi l’innesco dello tsunami.

Al pari del terremoto di Sumatra, la cui segnatura gravitazionale è stata fatta notare nella descrizione di fig. 2 in termini di acqua equivalente, il satellite GRACE ha permesso di quantificare l’anomalia di gravità prodotta dal terremoto di Tohoku-Oki mostrata in fig. 4, dove la scala è in μGal. Al fine di comprendere la sensibilità raggiunta da questo tipo di misure da satellite sottolineiamo che 1 μGal è la gravità di una lastra infinita orizzontale di 1 cm di crosta terrestre posta sotto in nostri piedi: la sensibilità di GRACE è quindi tale che, pur volando ad una quota di circa 450 km riesce a misurare l’effetto gravitazionale di uno spessore di 1 cm di crosta terrestre che sta sorvolando e che deve avere una estensione orizzontale di almeno 300–400 km, estensione che definisce la sua risoluzione spaziale necessariamente comparabile alla quota di volo.

La fig. 4, riquadro (a), mostra l’anomalia di gravità associata alla deformazione co-sismica del terremoto di Tohoku-Oki ottenuta dai dati GRACE: la linea tratteggiata inclinata verso est rappresenta l’orientazione della faglia del terremoto rispetto al meridiano, che nel nostro modello di Terra utilizzato per ottenere i risultati simulati nel riquadro (b) è un rettangolo. Vista dall’alto la faglia è quindi un rettangolo mentre vista nella sezione perpendicolare alla subduzione è la linea inclinata tra le due frecce opposte nel terzo riquadro a destra nella fig. 3. La segnatura gravitazionale ottenuta dai dati nel riquadro (a) è bipolare: il polo negativo è situato a nord-ovest rispetto alla fossa oceanica indicata dai triangoli vergenti verso ovest in fig. 3, con un’anomalia di gravità minima di −8.6±1.6 μGal nel punto di coordinate 39.0 °N, 137.3 °E e il polo positivo a est e sud-est della fossa oceanica, caratterizzato da due massimi di + 3.6 ± 1.5 e + 3.4 ± 1.1 μGal nei punti di coordinate 38.3 °N, 147.9 °E e 33.3 °N, 141.0 °E. Lo schema del riquadro di destra di fig. 3 ci aiuta a comprendere la bipolarità della segnatura gravitazionale: la crosta terrestre in sprofondamento a sinistra rispetto alla linea nera continua orizzontale è responsabile del minimo di gravità, in quanto l’acqua dell’oceano sostituisce la crosta di densità maggiore rispetto all’acqua, mentre il massimo a destra è dovuto all’innalzamento della crosta che sostituisce l’acqua di densità minore.

La simulazione della gravità co-sismica ottenuta dal nostro modello di Terra nel riquadro (b) riproduce in modo soddisfacente la segnatura gravitazionale ottenuta da GRACE nel riquadro (a). È importante notare che rispetto al segnale gravitazionale di fig. 2 del terremoto di Sumatra la forma bipolare è speculare rispetto al meridiano: questo è dovuto al fatto che la subduzione della placca oceanica nell’oceano Indiano converge verso l’Eurasia da ovest verso est, mentre quella del Pacifico sotto il Giappone converge verso l’Eurasia da est verso ovest. La segnatura di tipo bipolare del terremoto è dello stesso tipo di quella descritta all’inizio dovuta al processo di subduzione: mentre quella dovuta al processo globale rappresentato in fig. 1 tra il massimo e il minimo abbiamo un’anomalia dell’ordine di qualche centinaia di mGal, nel caso di un singolo terremoto l’anomalia tra il massimo positivo e il minimo negativo è dell’ordine delle decine di μGal, come la differenza tra i valori sopracitati. Rispetto alla gravità normale di 980 Gal, la geodesia da satellite riesce oggigiorno a misurare variazioni di gravità 108–109 volte più piccole, quindi almeno otto ordini di grandezza più piccole della gravità normale. Il problema di GRACE è che riesce a misurare gli effetti gravitazionali di terremoti di magnitudo elevata, $M_{w}$ almeno 8.5–9, tipici della cintura di fuoco del Pacifico, mentre noi che viviamo nel bacino mediterraneo siamo interessati anche a terremoti di magnitudo $M_{w}=6-7$: il progetto Gravitational Seismology ha dimostrato che NGGM sarà in grado di misurare gli effetti gravitazionali co- e post-sismici di terremoti di magnitudo $M_{w}=7$, quali il terremoto dell’Irpinia del 1980. Per il nostro Paese e più in generale per il Mediterraneo e regioni limitrofe, NGGM permetterà un importante passo avanti nella conoscenza della fisica dei terremoti e dei processi tettonici che li generano, se facciamo presente che riguardo l’unica evidenza di deformazione post-sismica nel Mediterraneo, essa è stata rilevata in seguito al terremoto dell’Irpinia grazie a due linee di livellazione eseguite dall’Istituto Geografico Militare del nostro Paese nella zona di faglia tra Eboli, Grottaminarda e Potenza. Questi dati di livellazione sono stati utilizzati per determinare la viscosità della crosta inferiore, fornendo un valore che viene a tutt’oggi utilizzato per interpretare i dati, anche gravitazionali, dei terremoti di Sumatra o Tohoku-Oki. È evidente che NGGM permetterà di avere dati relativi agli eventi sismici che si verificheranno durante il periodo della missione di circa 12 anni in tutto il pianeta superando i limiti di costose indagini sul campo, impossibili evidentemente per tutti gli eventi e nelle più svariate regioni, anche remote, della Terra.

3 L’Appennino centrale

Nella prospettiva che ha ispirato il presente articolo, di downscaling rispetto alle dimensioni caratteristiche dei processi di Terra Solida, consideriamo ora la deformazione della nostra penisola ottenuta da GPS su aree di dimensioni di centinaia di chilometri, come nell’ambito di questa deformazione si possa inquadrare il terremoto de L’Aquila del 2013 la cui faglia ha dimensioni delle decine di chilometri e consideriamo infine il comportamento di una faglia in prossimità de L’Aquila attivatasi attraverso terremoti “silenziosi”: questi eventi sono riconducibili non ad una spaccatura improvvisa della crosta terrestre ma a uno scorrimento asismico su una porzione di faglia che nel caso aquilano ha dimensioni dell’ordine delle centinaia di metri. Il riquadro (a) di fig. 5 mostra il campo di velocita dei diversi punti della superficie terrestre in Italia e regioni limitrofe rispetto all’Eurasia ottenuto interpolando i dati GPS in millimetri all’anno.

I valori più elevati, anche superiori a 5 mm/anno e comunque sotto il centimetro all’anno, si trovano tra l’Africa settentrionale e la parte meridionale del nostro Paese, con velocità in direzione nord–nord-ovest fino allo stretto di Messina, dove il campo di velocità comincia a ruotare verso est, con direzione est–nord-est in Calabria, Puglia e verso nord nell’Appenino verso la parte Adriatica, mantenendosi verso ovest–nord-ovest in una stretta fascia della penisola verso il Tirreno. La direzione ovest–nord-ovest indica la convergenza tra Africa ed Eurasia a cui si accompagna l’effetto della placca Ionica in subduzione nell’Arco Calabro vergente verso ovest–nord-ovest come indicano i triangoli neri che abbiamo visto in prossimità della fossa oceanica anche in fig. 3 e l’effetto della crosta continentale tra la penisola italiana e i Balcani. Nell’Appennino centrale il gradiente di velocità tra la parte tirrenica e adriatica, dovuta al cambio di direzione da ovest verso est delle velocità e all’aumento della velocità verso est attraverso l’Appennino, è responsabile della velocità di deformazione (strain rate) mostrata nel riquadro (b) attraverso gli autovettori, la cui lunghezza è scalata rispetto al valore degli autovalori della deformazione orizzontale, espressa in nanostrain/anno, dove 1 nanostrain coincide con un allungamento o accorciamento di 1 millimetro relativamente ad una lunghezza di 103 chilometri, in rosso e blu rispettivamente. I valori massimi sono di circa 30 nanostrain/anno dall’Appennino settentrionale fino a quello meridionale e alla Calabria, con la massima estensione in rosso perpendicolare alla catena appenninica, come indicato dalla direzione dell’autovetttore rosso, maggiore di quello che indica la compressione: in Appennino domina l’estensione perpendicolare alla catena, il che spiega il susseguirsi di terremoti del tipo faglia normale quali quello di Colfiorito del 1997, de L’Aquila del 2009, di Amatrice del 2016, tutti di magnitudo $M_{w}=6$, con il sistema di faglie parallelo alla catena appenninica, coerentemente con l’omogeneità del valore della deformazione estensionale che osserviamo in fig. 5, con la direzione perpendicolare alla catena e quindi alle faglie.

Relativamente al terremoto de L’Aquila del 2009, la fig. 6 mostra gli spostamenti superficiali co-sismici orizzontali nel riquadro (a) e verticali nel riquadro (c). Le frecce nere indicano gli spostamenti ottenuti dai dati delle stazioni GPS riportate in figura mediante le rispettive denominazioni, come quella de L’Aquila indicata con AQUI, mentre le frecce grigie indicano gli spostamenti ottenuti da modellizzazione.

I riquadri (b) e (d) mostrano il residuo, o differenza, tra gli spostamenti co-sismici osservati e modellizzati con i relativi errori. La modellizzazione riproduce le proprietà fisiche della crosta terrestre e la dislocazione improvvisa tra i due lembi della faglia durante il terremoto. La faglia di questo terremoto, vista dall’alto in fig. 6 e indicata dal rettangolo tratteggiato, immerge verso ovest, con un’inclinazione di circa 50° rispetto alla superficie terrestre. Notiamo nel riquadro (a) che la parte della crosta terrestre verso l’Adriatico e oltre il bordo superiore della faglia stessa rappresentato dal segmento continuo subisce uno spostamento verso nord-est, perpendicolarmente alla faglia, di circa 10 cm, mentre la parte a ovest verso il Tirreno subisce uno spostamento con un’importante componente parallela alla faglia e verso il centro della stessa di intensità inferiore di circa il 50% rispetto a quello verso l’Adriatico. È quindi evidente che la crosta terrestre attraverso la faglia si è estesa nella direzione ad essa perpendicolare, in perfetto accordo con la deformazione estensionale perpendicolare alla catena appenninica osservata in fig. 5. Passando agli spostamenti verticali del riquadro (c) notiamo che quelli più importanti in termini di intensità si verificano nella parte sovrastante la faglia su cui insiste anche L’Aquila, quindi rispetto al bordo superiore di quest’ultima nella parte verso il Tirreno, con un valore massimo sovrastante la parte centrale della faglia e diretto verso il basso di circa 7–8 cm, che diminuisce quando ci allontaniamo sia verso nord-ovest che verso sud-est, con AQUI ad esempio in subsidenza di circa 3 cm. Oltre il bordo superiore della faglia verso l’Adriatico la crosta terrestre è invece in sollevamento, ma con valori più che dimezzati rispetto alla subsidenza a ovest. Questi spostamenti co-sismici orizzontali e verticali sono caratteristici di un terremoto denominato normale, che si verifica quanto la crosta terrestre è in estensione come in fig. 5. Il modello matematico che ha permesso di ottenere gli spostamenti rappresentati in fig. 6 dalle frecce grigie ha altresì permesso di invertire dai dati GPS la dislocazione sul piano di faglia, che raggiunge nella zona ipocentrale un valore massimo di 80–90 cm, del tutto comparabile con quello di Colfiorito del 1997 ed evidentemente molto più piccolo rispetto alle decine di metri di Tohoku-Oki. È interessante confrontare gli spostamenti co-sismici di fig. 6 del terremoto normale de L’Aquila di magnitudo $M_{w}=6$, in ambiente tettonico estensionale, con quelli del terremoto a faglia inversa di Tohoku-Oki di magnitudo $M_{w}=9.1$, in ambiente tettonico compressivo. Facendo riferimento allo schema a destra di fig. 3, con la medesima inclinazione verso sinistra, ossia verso ovest della faglia, le frecce dello schema vanno invertite per il terremoto de L’Aquila essendo la crosta terrestre in estensione. Rispetto a questo schema, le ondulazioni vanno invertite per L’Aquila, ottenendo quindi rispetto al sollevamento di circa 5 m in prossimità della fossa oceanica uno sprofondamento di 7–8 cm, e rispetto ad uno spostamento orizzontale verso la fossa di circa 35 m, osserviamo per L’Aquila uno spostamento orizzontale massimo di circa 10 cm, così come abbiamo una dislocazione nella regione ipocentrale di diverse decine di metri per Tohoku-Oki, e circa 80–90 cm per L’Aquila. Queste diverse caratteristiche dei terremoti del Pacifico e dell’Appennino centrale dipendono essenzialmente dalle diverse velocità tra le diverse porzioni di crosta terrestre che interagiscono nelle regioni sismogenetiche, dell’ordine di 7–8 cm all’anno nel Pacifico rispetto ai pochi millimetri all’anno nell’Appennino centrale.

Un altro aspetto interessante della deformazione della crosta terrestre in prossimità de L’Aquila è relativo ai terremoti silenziosi registrati per la prima volta in Italia dallo strainmeter interferometrico implementato nelle vicinanze dell'INFN - Laboratori Nazionali del Gran Sasso: i terremoti silenziosi sono dovuti allo scorrimento lento lungo la faglia, non in grado di produrre onde sismiche e legati al comportamento viscoplastico della Terra nel gouge tra i due lembi della faglia. L’interferometro laser è costituito da due bracci di 90 m posizionati ad una profondità di 1400 m sotto al massiccio del Gran Sasso, orientati come mostrato nel riquadro di sinistra di fig. 7 in direzione nord-est a 66° NE e nord-ovest a 24°. Le linee nere spesse del riquadro a destra di fig. 7 mostrano tre esempi di deformazione di taglio in nanostrain in funzione del tempo in secondi, registrate dallo strainmeter durante una serie di eventi verificatisi da marzo a ottobre 1997, ottenuta mediante la misura della differenza di estensione tra i due bracci dell’interferometro: i terremoti lenti di una faglia distante dallo strumento compaiono quindi come deformazioni esponenziali con durata dalle decine a migliaia di secondi e ampiezze di alcuni nanostrain, un’esemplare evidenza di rilassamento viscoplastico dello sforzo. Mediante un modello viscoplastico del gouge con uno scivolamento lento lungo il piano di faglia, è stato mostrato che la sorgente più probabile del terremoto lento responsabile delle registrazioni di fig. 7 è localizzata lungo la nota faglia di Vallefredda che si trova a qualche chilometro a sud dell’interferometro e a pochi chilometri di profondità, faglia che non ha un comportamento sismico noto; le dimensioni della porzione di faglia che è andata in scorrimento lento, ottenute dall’inversione dei dati interferometrici sono di circa 200 m. Al pari delle variabilità delle scale temporali in Terra Solida, è interessante notare anche la grande variabilità delle scale spaziali che in questi esempi di faglia vanno dalle centinaia di chilometri per il terremoto di Tohoku-Oki alle centinaia di metri per i terremoti silenziosi registrati al Laboratorio del Gran Sasso.

4 Una considerazione finale

Da processi globali quali la subduzione a quelli locali quali i terremoti silenziosi nell’Aquilano, dai milioni di anni alle decine di secondi, abbiamo visto come la parte solida del nostro pianeta sia soggetta a continui cambiamenti in un ampio spettro di scale spaziali e temporali, a causa del comportamento viscoso del mantello e litosfera. Grazie a nuove metodologie di misura dalla scala globale NGGM a quella regionale GPS o quella locale interferometrica, allo sviluppo della modellizzazione fisica e capacità computazionali, siamo oggi in grado di avere a disposizione una grande quantità di dati e di comprendere in dettaglio la fisica dell’interno della Terra.

Ringraziamenti

L’Autore ringrazia Antonella Amoruso, Luca Crescentini e Mimmo Palano per le figure fornitegli tratte dai loro lavori e il team Gravitational Seismology, Alberto Anselmi, Arcangela Bollino, Gabriele Cambiotti, Stefano Cesare, Karim Douch, Roger Haagmans, Anna Maria Marotta e Nico Sneeuw grazie alla cui collaborazione è stato possibile scrivere questo articolo.