Intervista a Antonella Polimeni
Antonella Polimeni: prima donna alla guida di Sapienza
Leggendo il suo curriculum risalta in
maniera evidente l’ampio spettro delle
sue attività scientifiche dedicate sia
allo studio propriamente accademico di
malattie specifiche e rare, sia ad aspetti
interdisciplinari e propriamente applicativi,
tanto da portare alla realizzazione di un
brevetto internazionalizzato. Cosa ha
spinto questa varietà di interessi nella sua
attività di ricerca?
È stato un processo naturale. La mia
storia è quella di un percorso all’interno
delle istituzioni universitarie durante il
quale ho costruito, passo dopo passo, un
curriculum che mi ha consentito di maturare
esperienze diverse. La mia formazione è
orgogliosamente medica, sono specialista in
odontostomatologia ed in ortognatodonzia.
Il ruolo di medico universitario coniuga
l’assistenza con la didattica e con la ricerca
collegata agli obiettivi clinici. Attività di
ricerca che fin dagli anni ’90 mi ha visto
impegnata sull’età pediatrica in particolare
sulle alterazioni cranio-facciali. Questa
linea di ricerca si è poi concretizzata nella
realizzazione a livello clinico di un Centro
dedicato a bambini con bisogni speciali.
Prima della sua recente nomina a Rettrice,
lei ha ricoperto molti ruoli importanti e
determinanti presso l’Ateneo Sapienza,
come quelli di Preside di Facoltà, Direttrice
di Dipartimento, giusto per citare i più
recenti.
Questi incarichi come hanno influito sulla
determinazione di candidarsi come Rettrice
dell’Ateneo?
Ho sempre lavorato nel nostro Ateneo
impegnandomi sia nella Facoltà sia,
ovviamente, nell’ambito clinico come medico
di un Policlinico universitario. Le esperienze
condotte in questi anni mi hanno portato a
riflettere sul futuro e su quali potessero essere
le funzioni e gli obiettivi nella conduzione
di un Ateneo così ampio e complesso come
Sapienza. Ho maturato inoltre la piena
consapevolezza dell’importanza di condurre
azioni in collaborazione con tutta la comunità
coinvolta, dai docenti al personale tecnico-
amministrativo, bibliotecario e socio-sanitario,
e naturalmente con gli studenti su cui ripongo
grandi speranze per lo sviluppo dell’Ateneo.
Vorrei che il dialogo con le diverse componenti
di Sapienza caratterizzasse il mio sessennio di
lavoro.
Dal 1°dicembre del 2020 lei è Rettrice di
Sapienza Università di Roma, la più grande
d’Europa e con i suoi 718 anni, una delle
più antiche e prestigiose del mondo. Qual è
stata la carta vincente della sua campagna
elettorale e del programma che l’ha portata
all’elezione?
Quando mi sono candidata ho cercato di
non limitarmi a enunciare gli obiettivi, ma di
descrivere anche lo spirito con cui perseguirli.
Ho sempre sostenuto che le decisioni sono
frutto di un lavoro comune e che l’ascolto e il
dialogo debbano essere sempre privilegiati,
impegnandosi a ricercare le istanze di sintesi
e di integrazione tra le diverse sensibilità e
competenze. Ritengo che la mia elezione
rappresenti un risultato importante per quanti
hanno creduto in un programma, frutto del
lavoro di un grande team che si fonda sulla
partecipazione a obiettivi comuni. Lo dimostra
l’alta percentuale, il 60,7%, di preferenze che
hanno portato alla mia elezione già all’esito del
primo scrutinio.
Ho proposto un programma con 17 temi principali che nella mia visione rappresentano delle direttrici da tradurre in operatività, ma che si presta ad accogliere anche eventuali nuovi contributi. L’idea è quella di costruire un luogo di confronto aperto alle nuove sfide e capace di coniugare l’eccellenza con l’accoglienza di una platea enorme di utenti e interlocutori. Credo che queste caratteristiche abbiano reso vincente la mia proposta.
Nel suo programma è presente la
proposta di rendere Sapienza un “Ateneo
Sperimentale”, può dirci in cosa consiste
e quali sono i vantaggi che ritiene se ne
avrebbero?
Bisogna premettere che Sapienza è,
nel variegato panorama delle Università
italiane, un caso particolare per dimensioni,
articolazione e complessità. Questo
richiede soluzioni organizzative in continua
evoluzione per favorire il progresso e il rapido
adeguamento alle sfide competitive del
sistema dell’educazione superiore. Per tale
ragione vorrei che Sapienza fosse considerata
“Ateneo Sperimentale” con la possibilità
di elaborare in autonomia “propri modelli
funzionali ed organizzativi”. In questo modo
diventerebbe un laboratorio, una fucina
di innovazione in grado di fornire modelli,
risultanze e proposte all’intero sistema
universitario nazionale. Pensiamo di poter
offrire un contributo al Paese con l’obiettivo
principale di rafforzare il diritto allo studio e
favorire la crescita del numero dei laureati nella
convinzione che la formazione vada garantita
anche ai segmenti più vulnerabili della
popolazione. Sono certa che questo sia l’unico
strumento per combattere disuguaglianze e
ingiustizie.
Tra le sue proposte programmatiche
ci sono l’istituzione di un Centro Tecnico
Scientifico sulla Diversità e l’Inclusione
e l’introduzione di un Manager della
Diversità. Di che si tratta?
Abbiamo imparato che la diversità sociale
e le differenze individuali rappresentano una
risorsa di crescita e sviluppo e il contesto
universitario costituisce un luogo privilegiato
in cui interpretarle.
Gestire le diversità richiede però impegno e organizzazione e l’istituzione di un organo dedicato è stato un passaggio necessario che è avvenuto con delibere degli Organi di Governo dell’Ateneo lo scorso gennaio. Il Comitato Tecnico Scientifico sulla Diversità e l’Inclusione, composto da docenti, personale tecnico amministrativo e da studentesse e studenti, opererà in stretto contatto con la Governance dell’Ateneo per realizzare piani strategici ed iniziative volte a favorire parità e integrazione e a creare nuovi network in aree di interesse ben delineate. Il Comitato affronterà temi in ambito socio-economico e legati all’accessibilità alle nuove tecnologie; problematiche riguardanti le diverse abilità fisiche, il disagio psicologico e i Bisogni Educativi Individuali; criticità legate alle disuguaglianze di genere e a ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, legata a origine etnica, nazionalità, genere e identità di genere, orientamento sessuale, età, abilità, convinzioni e pratiche religiose, condizioni personali, sociali, economiche e/o di salute.
Ci saranno quindi azioni specifiche per
favorire l’eguaglianza di genere nell’Ateneo
che conduce?
L’Ateneo ha approvato, sempre a gennaio,
anche il nuovo “Codice di condotta nella lotta
contro le molestie sessuali”, che fissa linee
operative per sostenere la parità di genere
e fornire assistenza alle vittime di molestie
sessuali e di cui punto cruciale è la Consigliera
di Fiducia. Il Codice, oltre a fissare il perimetro
dei comportamenti – anche verbali – che
ricadono nell’ambito delle molestie, contiene
indicazioni per prevenire il verificarsi di
comportamenti configurabili come molestie
sessuali, attraverso uno specifico programma
di formazione in materia di tutela della libertà
e della dignità della persona, per promuovere
e diffondere la cultura del rispetto. Saranno
programmate anche azioni di prevenzione
delle discriminazioni di genere, nelle varie
espressioni fisiche verbali e non verbali
attraverso un lavoro sinergico del Comitato
Unico di Garanzia con il Garante degli Studenti
d’Ateneo, i Garanti di Facoltà e i diversi
Osservatori studenteschi.
Inoltre saranno organizzati progetti specifici per decostruire gli stereotipi di genere e combattere la concezione di settori disciplinari considerati maschili, come i cosiddetti STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Delle 83 Università italiane solo 6 hanno
una Rettrice, rappresentando quindi solo
il 7% del totale; veramente una bassa
percentuale. Questa bassa presenza delle
donne nei ruoli apicali si manifesta qui come
in altri rilevanti ambiti. Quali sono a suo
avviso le motivazioni di ciò e quali le azioni
per mitigare questa realtà?
Nelle università il tema di genere è
trasversale e riguarda le studentesse, il
personale e le docenti. I dati ci confermano
che le studentesse sono più brave dei loro
colleghi maschi: entrano all’università con una
preparazione migliore, raggiungono prima
la laurea e con voti migliori; le docenti sono
circa il 40% mentre il personale tecnico e
amministrativo è in maggioranza composto da
donne. Questa è senz’altro una bella fotografia
della situazione attuale. Se però scendiamo
nel dettaglio e prendiamo in considerazione
il nostro Ateneo bisogna considerare che le
direttrici di dipartimento sono un terzo rispetto
ai direttori, le professoresse ordinarie – quindi
il ruolo apicale dell’insegnamento – sono il
27% e attualmente nelle 11 facoltà di Sapienza
i presidi sono tutti uomini. E sottolineo che
Sapienza da questo punto di vista è al di sopra
della media nazionale e che la schiacciante
maggioranza delle dirigenti sono donne,
compresa la nostra Direttrice generale.
Riguardo, invece, la segregazione orizzontale
sull’accesso delle studiose ad aree tipicamente
scientifiche, come dicevamo in precedenza,
quali le lauree STEM, credo che sia molto
importante farsi promotori dei progetti di
orientamento da portare sin dalle scuole medie
inferiori. In questa direzione anche il premier
Mario Draghi, nel suo discorso programmatico,
ha annunciato che ci saranno investimenti
affinché sempre più giovani donne scelgano
di formarsi negli ambiti strategici per il Paese,
ovvero quelli digitali, tecnologici e ambientali.
Le politiche da attuare per colmare il gender
gap devono inoltre andare nella direzione
di favorire il più possibile la conciliazione
del lavoro con la vita personale e familiare:
azioni di sostegno per le lavoratrici, sia del
personale docente che del personale tecnico-amministrativo. Anche se sono una inguaribile
ottimista credo che ci sia ancora molto da fare.
Dobbiamo agire, in tutti i settori, per assicurare
pari opportunità per pari capacità e consentire
a chi ha meriti di poter avere pari accesso.
Sara Pirrone
CPO-SIF