Intervista ad Alessandra Petrucci
Alessandra Petrucci Rettrice dell’Università di Firenze: la poliedricità al servizio dell’Ateneo fiorentino
Vorrei partire da un’osservazione sulla
sua formazione che appare veramente
variegata, ricca e trasversale, da una
laurea in Ingegneria Civile sino a diventare
Professore Ordinario di Statistica Sociale.
Quanto ritiene che questa trasversalità
abbia influito sui traguardi eccellenti da lei
conseguiti?
Le competenze trasversali, in generale,
permettono sempre di arricchire il
patrimonio personale con conoscenze,
abilità e atteggiamenti che consentono
di comportarsi adeguatamente ed
efficacemente nella complessità delle
situazioni. Nella prima parte della mia
formazione ho acquisito quelle che si
chiamano hard skills, le competenze tecnico-specialistiche. Confrontandomi con contesti
diversi e ambienti diversi, in ruoli istituzionali,
ho acquisito le cosiddette soft skills, in cui
rivestono importanza l’empatia, il problem
solving, la flessibilità, la capacità di fare
squadra, di gestire i conflitti, di avere una
efficace comunicazione. Tutti questi elementi
sono determinanti per indirizzare il modo di
relazionarsi di una persona all’interno di un
contesto lavorativo o sociale.
Il suo progetto rettorale ha il bellissimo
titolo/slogan “disegnare il futuro”: una
espressione così semplice e chiara e così
piena di concretezza e aspettativa. Da
dove nasce questa definizione?
Disegnare il futuro rappresenta l’indirizzo
che intendo dare all’Ateneo nel mio mandato.
Sono convinta infatti che l’Università debba
assumere un ruolo centrale nei processi di
cambiamento e rinnovamento soprattutto in
questo momento storico, che segue il lungo
periodo di emergenza trascorso. In particolare,
nella mia idea di futuro, vedo principalmente
tre dimensioni, ossia una profonda
condivisione di programmi e obiettivi, la
sostenibilità delle sfide sociali e culturali e
la responsabilità dello sviluppo economico
e tecnologico, che insieme definiscono un
Ateneo attento e concreto, con al centro
competenza, coinvolgimento e trasparenza.
Queste tre parole condivisione, sostenibilità e responsabilità, delineano per me gli obiettivi della missione della nostra Università, permeando la didattica e la formazione, la ricerca e il trasferimento di conoscenze, l’impegno quotidiano e la capacità di impatto, la dimensione territoriale e la sua proiezione internazionale.
Qual è stata la spinta determinante a
candidarsi come Rettrice?
Sicuramente un grande peso ha avuto
l’incoraggiamento delle colleghe e dei
colleghi, con i quali ho avuto modo di
discutere e condividere argomenti e
riflessioni che poi si sono concretizzati nel
programma proposto. Sono profondamente
convinta del valore del lavorare insieme
per lo stesso obiettivo e la mia candidatura
è stata la candidatura di un’idea comune di
cambiamento e rinnovamento di un grande
gruppo orgoglioso ed entusiasta.
Qual è stata la carta vincente della sua
campagna elettorale che l’ha portata
all’elezione?
Penso che un ruolo fondamentale lo
abbia avuto la concretezza del programma
rettorale che ho presentato, organizzato in
sette ambiti di intervento, a cui si aggiungono
due focus: uno sull’area biomedica e l’altro
sul Sistema Museale di Ateneo. Gli ambiti di
intervento hanno una denominazione classica,
ovvero Didattica, Ricerca, Terza Missione,
Sostenibilità, Governance, Organizzazione ed
Internazionalizzazione. Tutte le azioni proposte
per il loro sviluppo programmatico sono basate
su concetti di rinnovamento, sperimentazione
e crescita. A tutti gli ambiti citati ho pianificato
poi di applicare una semplificazione delle
procedure e una ottimizzazione dei processi,
convinta che questo inciderà positivamente
sulla nostra vita e non solo lavorativa, basti
pensare al tempo e alle energie guadagnate
che potremo indirizzare ai nostri impegni o
desideri.
Credo che tutto questo sia stato recepito come una profonda volontà di modernizzazione dell’Ateneo, sentita da molti come una necessità irrinunciabile.
Nel suo programma sono presenti due
focus: ci può spiegare di che si tratta e qual
è il loro obiettivo?
Si tratta di due aree di azione in stretta
connessione con il territorio che vanno curate
e valorizzate per la loro importanza e ricchezza.
Per essere più espliciti, l’area medico-sanitaria rappresenta nelle maggiori università del mondo (Harvard, Oxford, Cambridge, ecc.) un’importante risorsa di sviluppo scientifico-tecnologico e un motore di sviluppo anche economico di tutta l’area di riferimento.
Negli ultimi anni infatti lo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie hanno reso molto più rilevante e competitiva la ricerca in ambito biomedico. In parallelo, anche i modelli organizzativi e gestionali che regolano le attuali Aziende Ospedaliere Universitarie hanno subito cambiamenti che devono tener conto del corretto rapporto tra gli aspetti clinico-ospedalieri e il ruolo formativo e scientifico che l’Università svolge attraverso la Scuola di Scienze della Salute Umana e i Dipartimenti di area biomedica.
Riguardo invece il Sistema Museale di Ateneo, Firenze ha una Università che festeggerà nel 2024 i suoi 100 anni di vita e le tracce di questa storia profonda si ritrovano nel suo straordinario patrimonio culturale, scientifico ed artistico. Per fare degli esempi, il “Giardino de’ Semplici” (Orto Botanico) istituito nel 1545 da Cosimo I de’ Medici è la sezione più antica del Museo di Storia Naturale, e tutte le collezioni scientifiche presenti nelle altre sedi si fondano sul nucleo quattrocentesco delle collezioni medicee e sono delle testimonianze vive dell’ininterrotta avventura della scienza a Firenze degli ultimi cinque secoli. E ancora il Regio Museo della Specola, inaugurato nel 1775, fu il primo museo naturalistico europeo aperto al pubblico. Arricchiscono questo patrimonio gioielli di arte come Villa Galileo o la Villa medicea de La Quiete alle Montalve, palazzi storici ricchi di arredi e di decorazioni, archivi e biblioteche con volumi unici e di eccezionale pregio.
Questo immenso patrimonio culturale deve naturalmente essere tutelato, valorizzato e condiviso con la città e il territorio e costituisce un importante strumento di ricerca, didattica e Terza Missione, di cui vanno esaltate e fruite tutte le potenzialità. La sfida è quella di trovare un equilibrio fra vocazione scientifica e condivisione al servizio della società e dello sviluppo.
All’interno del punto programmatico
dedicato al tema Sostenibilità si parla
esplicitamente di politiche per la differenza
di genere; quali azioni concrete pensa di
attuare in quest’ambito?
Le sfide contemporanee impongono di
orientare l’attività istituzionale dell’Ateneo
verso il perseguimento di uno sviluppo
sostenibile; per questo ho proposto di
integrare i 17 Sustainable Development
Goals (SDGs), presenti nell’Agenda 2030
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,
nella pianificazione delle azioni.
Ciò comporta il rafforzamento del lavoro riguardo l’accessibilità, l’equità e l’inclusione, anche avviando percorsi di cittadinanza consapevole per permettere alla sostenibilità, alle politiche per la disabilità e per le differenze di genere, all’attenzione ai diritti umani e alla mitigazione delle diseguaglianze sociali, culturali ed economiche di essere parte fondamentale della formazione dei laureati.
In particolare, rispetto alle politiche per l’equità di genere, saranno promossi progetti innovativi di ordine didattico e scientifico, dedicati alla parità e al rispetto dovuto a tutti i generi e alla valorizzazione delle differenze. Si tratterà di progetti che possono mobilitare energie trasversali a molti campi disciplinari.
Sono previste inoltre politiche di conciliazione vita-lavoro, politiche per l’infanzia e la genitorialità (tra cui lavoro agile, nido all’università, centri estivi) e il riconoscimento della genitorialità nella valutazione e nella promozione della ricerca. Oltre alle progressioni di carriera, anche la valutazione della ricerca deve prevedere correttivi adeguati, che considerino i congedi parentali e i periodi di aspettativa, tenendo conto delle specificità legate ai singoli campi disciplinari.
Lei è una delle poche Rettrici presenti
nelle Università italiane, solo 7 su 83 ovvero
circa l’8% del totale; una percentuale molto
bassa che si ripropone in molti ruoli apicali
di rilevanti ambiti. Quali sono a suo avviso
le motivazioni?
Quando una donna arriva a ricoprire
ruoli di vertice fa notizia, è vero. La prima
Rettrice donna in Italia è stata eletta nel 1992
all’università di Roma Tre, che poi è stata
rieletta successivamente per un secondo
mandato. È la Professoressa Maria Tedeschini
Lalli, docente di letteratura americana. Perché
siamo ancora poche? Ci sono tante ragioni,
ma, soprattutto, perché i concetti di eccellenza
scientifica e meritocrazia in ambito accademico
sono neutrali, ma sono disegnati su parametri
di performance che sono fortemente
stereotipati al maschile, a cui le donne sono
chiamate ad aderire per dimostrare la validità
del loro impegno. E questo non solo in Italia:
i dati della European University Association
mostrano che nel 2020, tra 28 stati membri
dell’Ue, solo il 15% sono Rettrici. Come ha
dimostrato una recente ricerca, i processi di
esclusione accademica non sono identificabili
solo in un’unica barriera che si manifesta nella
fase superiore, con l’immagine del “soffitto
di cristallo”, ma da innumerevoli sbarramenti
e impedimenti disposti lungo le traiettorie
accademiche. L’espressione “sticky floors”
è una metafora adatta a descrivere questi
ostacoli, che frenano l’avanzamento delle
donne.
Per concludere, il fatto di essere donna
ha influenzato il suo percorso di studi e di
carriera e se sì in quali aspetti?
In generale, per le donne che si avventurano
nei percorsi STEM, la strada è stata, in
passato, molto difficile e molto in salita,
perché questi percorsi accademici erano
disegnati al maschile: portare a termine
questo impegno ha sicuramente contribuito
a rafforzarmi anche come persona, in quanto
mi ha permesso di acquisire gli strumenti per
fronteggiare situazioni complesse. In questa
prospettiva, propongo una lettura positiva
della mia esperienza, in quanto è stato un
processo di costruzione della personalità, che
è partito da lontano e che ha rafforzato la mia
determinazione e i miei obiettivi.
Sara Pirrone
CPO-SIF