Measuring time to understand the Universe

Giancarlo Cerretto, Marco Sellone, Silvia Cavallero


Misurare il tempo per capire l'Universo

1 La Decima Conferenza dei Progetti del Centro Fermi

Dal 6 all’8 marzo 2019, a Torino, nella superba cornice della Cavallerizza Reale, complesso di edifici un tempo adibiti alla cura dei cavalli di casa Savoia, si è tenuta la Decima Conferenza del Progetto “Extreme Energy Events (EEE): la scienza nelle scuole”, che costituisce un’interessante forma di collaborazione tra ricerca scientifica e mondo della scuola con l’obiettivo di misurare e studiare i raggi cosmici ad altissima energia, coinvolgendo gli studenti in esperienze hands-on. Il Progetto, ideato dal Professor Antonino Zichichi, opera con il contributo del Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi” (Centro Fermi), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e del CERN di Ginevra. Nel capoluogo piemontese studenti e docenti, provenienti da quaranta Istituti italiani, hanno partecipato a tre giornate di lezioni e attività didattiche, comprensive di un excursus nel campo della metrologia (Box 1).

I raggi cosmici – costituiti per lo più da protoni e nuclei atomici – provengono sia dalla nostra galassia, sia da regioni ancora più lontane e si presume abbiano avuto origine a notevole distanza da noi nel tempo e nello spazio. Poiché prima di arrivare al nostro pianeta hanno viaggiato per centinaia, migliaia e forse anche per milioni di anni, il loro studio ci fornisce informazioni molto utili per conoscere meglio il nostro universo e la sua storia. Raggiunta l’atmosfera terrestre i raggi cosmici entrano in collisione con i nuclei di cui essa è costituita e producono sciami di elettroni, fotoni, neutrini e muoni, molti dei quali giungono fino alla superficie terrestre.

Misurando l’arrivo dei muoni causati da eventi dotati di elevatissime energie e quindi contraddistinti da una vasta area di diffusione, il Progetto EEE necessita di un’ampia rete di rivelatori. Per questo motivo raccoglie dati con circa sessanta punti di misura, cioè con telescopi installati in altrettante scuole italiane, dove sono gli studenti stessi a utilizzarli.

L’accertamento di eventuali coincidenze temporali nella rivelazione di sciami di muoni permette di comprendere quali di essi siano da ricondurre allo stesso raggio cosmico o di studiare possibili correlazioni a lunga distanza (centinaia di chilometri) tra raggi cosmici. Per essere certi di tali coincidenze è indispensabile che i telescopi siano sincronizzati tra loro. Tale sincronizzazione è assicurata dal fatto che tutti i telescopi usati dal Progetto sono muniti di ricevitori GPS, i quali consentono l’accesso a una scala di tempo comune, provvista di adeguate caratteristiche di stabilità e accuratezza in quanto generata dagli orologi atomici del sistema di navigazione satellitare.

Uno degli argomenti trattati nel corso della Decima Conferenza è stata la sincronizzazione dei telescopi che formano l’ampio osservatorio EEE. Per approfondire il tema, due esperti di timing, ovvero due ricercatori appartenenti al Settore Tempo e Frequenza dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) (Box 2), sono stati chiamati a illustrare i fondamenti relativi alla misura del tempo e all’utilizzo dei sistemi di navigazione satellitare GNSS (acronimo di Global Navigation Satellite System) – come il GPS (Global Positioning System) o Galileo – per sincronizzare orologi e scale di tempo distanti tra loro nello spazio.

I sistemi GNSS sono infatti in grado di fare molto di più che dirci dove siamo o guidarci verso una destinazione impostata: poiché il loro funzionamento si basa su misure di tempo estremamente accurate, possono divenire anche strumenti di confronto di dati temporali. Strumenti molto preziosi, dal momento che, nella maggior parte degli esperimenti di fisica fondamentale, il tempo è un mezzo di conoscenza: correlare fenomeni che avvengono in luoghi diversi, e anche molto distanti tra loro, consente infatti di effettuare deduzioni importanti sulle caratteristiche o sull’origine di tali fenomeni, come nel caso dei raggi cosmici.

Nel corso della Conferenza, dopo un’introduzione sulla storia della misura del tempo, i ricercatori INRiM hanno approfondito l’aspetto della sincronizzazione dei telescopi, facendo infine cimentare i ragazzi in un esperimento che simulava il funzionamento di un sistema GNSS.

2 Il tempo: indefinibile, ma misurabile

Che cosa sia il tempo e quale sia la sua natura sono domande che l’umanità si è sempre posta senza riuscire a trovare risposte soddisfacenti. Il tempo è realtà o illusione? Lineare o ciclico? Oggettivo o soggettivo? Lasciando l’agone di tali disquisizioni ai filosofi e ai poeti, la scienza oggi considera il tempo una grandezza fisica e, pragmaticamente, si preoccupa “soltanto” di misurarlo. Con gli orologi atomici la nostra capacità di misurazione è divenuta estremamente precisa ed accurata (fig. 1).

3 Accuratezza versus precisione

Per gli scienziati delle misure questi termini non sono affatto sinonimi. Scopriamo perché.

Non esistono misurazioni perfette, esatte: quando si effettua una qualsiasi misura non si potrà mai ottenere il “valore vero” di quanto stiamo misurando, ma solo una sua approssimazione. E addirittura ripetendo una misurazione, anche nelle medesime condizioni e con lo stesso strumento, otterremo generalmente risultati diversi. In altre parole, le misure sono sempre caratterizzate da un certo margine di incertezza, che dipende da diversi fattori. Quali? L’abilità dell’operatore, l’affidabilità della strumentazione, la procedura impiegata, le condizioni ambientali, interferenze ed elementi di disturbo di vario genere, per citarne solo alcuni. Per descrivere una misura e la sua incertezza intrinseca si usano i termini accuratezza e precisione. L’accuratezza esprime quanto sia vicina una misurazione a un valore previsto o accettato, mentre la precisione riflette quanto siano ripetibili le misurazioni, anche se lontane dal valore previsto o accettato.

L’accuratezza descrive quindi una proprietà del risultato. La precisione quantifica il grado di efficacia con cui è stata effettuata la misurazione.

Per capire la differenza tra i due concetti possiamo fare riferimento al gioco della pallacanestro. Se un giocatore fa sempre canestro, anche se colpisce diverse parti del cerchio, i suoi tiri sono molto accurati. Se non fa molti canestri, ma colpisce sempre la stessa porzione di cerchio, è molto preciso. Se fa sempre canestro nello stesso identico modo, la sua mira è sia molto accurata sia molto precisa.

Effettuare misure che siano il più possibile accurate e precise, stimandone l’incertezza residua, è il compito del metrologo.

4 Strumenti di misura nel tempo: cenni storici

4.1 Orologi ad ombra e ad acqua

Misurare il tempo è un’esigenza che risale agli albori della civiltà. Inizialmente l’uomo ha utilizzato i riferimenti che la natura gli forniva: l’alternarsi della luce e del buio, il ciclo lunare, la posizione degli astri.... I primi orologi della storia furono probabilmente le meridiane, nate in Oriente e in Egitto, da dove raggiunsero poi l’Occidente. In esse l’ora è indicata per mezzo di un elemento verticale, chiamato gnomone (dal greco gnōmōn, $\gamma\nu\omega\mu\omega\nu$), che proietta la propria ombra su un quadrante, sul quale sono tracciati segni corrispondenti alle ore della giornata. Lo gnomone può essere un’asta, uno stilo o anche un elemento monumentale come un obelisco. Dette orologi solari, benché forse sarebbe più corretto chiamarle “orologi ad ombra”, le meridiane presentano l’inconveniente di non poter indicare l’ora la notte o quando il cielo è nuvoloso. Per questo motivo vennero sviluppati strumenti alternativi di misura del tempo.

Tra i più antichi vi sono le clessidre, che in origine funzionavano ad acqua. Ce lo rivela l’etimologia del termine: clessidra, dal greco

Tra i più antichi vi sono le clessidre, che in origine funzionavano ad acqua. Ce lo rivela l’etimologia del termine: clessidra, dal greco klépto ($\kappa\lambda\varepsilon\pi\tau\omega$) “rubare” e hydor ($\upsilon\delta\omega\rho$) “acqua”, letteralmente significa “ruba-acqua”. Le clessidre, il cui uso è attestato già presso gli Egizi, erano quindi recipienti dai quali veniva fatta fluire gradualmente l’acqua: le variazioni di livello indicavano le ore del giorno e della notte.

Un flusso d’acqua regolare, da cui ricavare misure di tempo, fu usato in seguito per costruire strumenti e apparati più complessi che costituiscono veri e propri orologi ad acqua e che si diffondono in Oriente e in Occidente.

Le clessidre a sabbia, oggi a noi più note, composte da due bulbi di vetro collegate da un foro, fanno la loro comparsa solo nel XIV secolo. Poiché erano strumenti facilmente trasportabili, che non richiedevano un rifornimento costante, nacquero verosimilmente per l’utilizzo a bordo delle navi.

4.2 Dagli orologi meccanici agli orologi atomici

Al Medioevo risalgono i primi orologi meccanici ovvero gli svegliarini o svegliatoi monastici, creati per scandire la vita all’interno dei monasteri, dove vigevano orari precisi per ogni attività quotidiana, dalla preghiera al lavoro, al sonno.

Nel Trecento lo sviluppo delle città, divenute centri di produzione, commercio e cultura, determinò nuovi ritmi di vita, ponendo tutti gli abitanti di fronte alla necessità di disporre di un riferimento temporale. Nacquero così i grandi orologi meccanici installati su torri e campanili, visibili anche da lontano. Alcuni di essi erano capolavori artistici o meraviglie della meccanica dotati di automi che suonavano le ore. I più complicati fornivano anche informazioni astronomiche e un calendario perpetuo delle feste mobili della Chiesa.

Il dispositivo che ne regolava il moto – lo scappamento a verga con bilanciere ad inerzia – non li rendeva però molto precisi: il loro margine di errore poteva raggiungere il quarto d’ora e spesso si fermavano. La soluzione sarà l’orologio a pendolo inventato da Christian Huygens nel 1658, sulla base del principio dell’isocronismo del pendolo scoperto da Galileo Galilei alla fine del Cinquecento (le oscillazioni di un pendolo hanno sempre la stessa durata, anche quando diminuiscono di ampiezza). Con gli orologi costruiti da Huygens, i primi ad avere le lancette dei minuti, la misura del tempo divenne più accurata, con errori quotidiani dell’ordine di appena una decina di secondi.

Un’ulteriore innovazione nella misurazione del tempo fu determinata dall’esigenza di calcolare la longitudine (distanza angolare da un meridiano di riferimento) da parte dei navigatori che, a partire dal XV e dal XVI secolo, cominciarono ad avventurarsi nell’esplorazione dei mari e degli oceani. Mentre la latitudine (distanza angolare dall’equatore) poteva essere ottenuta facilmente considerando l’altezza del Sole o della stella polare sull’orizzonte, la misura della longitudine veniva ricavata da misure di tempo, cioè da orologi. Dato che la Terra impiega 24 ore per girare su se stessa di 360 gradi, la differenza di un’ora tra il luogo in cui si trova una nave e quello da cui ha salpato le ancore corrisponde a un avanzamento di 15 gradi di longitudine, a oriente o a occidente. Per non commettere errori di misurazione è necessario avere a bordo un orologio molto preciso nonché sincronizzato con un altro orologio situato nel porto di partenza. La differenza tra l’ora locale della nave in un punto del suo viaggio, stimata con l’aiuto di una meridiana, e l’ora locale del porto, data dall’orologio di bordo, permetteva ai naviganti di capire di quanti gradi erano avanzati sul globo terrestre rispetto al luogo di partenza. Ma c’erano purtroppo alcuni problemi tecnici: gli orologi a pendolo, le cui oscillazioni erano turbate dalle onde, non assicuravano la precisione necessaria. Per decenni le menti più sagaci del tempo si applicarono quindi alla ricerca di una soluzione, fino a quando, nella prima metà del Settecento, l’orologiaio inglese John Harrison mise a punto il cronometro che porta ancora oggi il suo nome, uno strumento senza attrito, senza pendolo, preciso e inattaccabile dalla ruggine.

Nel XX secolo un livello maggiore di precisione fu dapprima raggiunto, verso la fine degli anni Venti, con gli orologi al quarzo, in cui la misura dello scorrere del tempo è determinata dalle oscillazioni di un cristallo di questo materiale. Poco dopo, negli anni

Cinquanta, gli scienziati scoprirono che gli atomi sono oscillatori ancora migliori del quarzo perché meno soggetti agli influssi ambientali. Nel volgere di un decennio gli orologi atomici divennero così il riferimento internazionale per la misura del tempo.

Dal 1967 la scala di tempo internazionale, che scandisce le nostre giornate in ogni parte del mondo, è realizzata per mezzo di orologi basati sull’atomo di cesio (fig. 2). Oggi con questi dispositivi il nostro margine di errore nel misurare il tempo è limitato a una frazione infinitesima di secondo, pari a 10–16. Da alcuni anni è in fase di sperimentazione una nuova generazione di orologi atomici, gli orologi ottici (Box 3, fig. 3) in grado di migliorare ulteriormente la nostra capacità di misura, raggiungendo la precisione di 10–18.

Disporre di misure di tempo accurate però non basta se non siamo anche in grado di trasmettere tali informazioni. Ecco dunque perché sono così importanti i sistemi di disseminazione e sincronizzazione del segnale di tempo, tra i quali ricordiamo i sistemi di navigazione satellitare GNSS, la rete internet, i segnali radio e le fibre ottiche.

5 A che cosa serve misurare il tempo con tanta precisione e accuratezza? L’esempio del GPS

Il grado di precisione e accuratezza con cui siamo oggi in grado di misurare il tempo grazie agli orologi atomici non è un divertissement dei fisici: è in realtà molto utile. È utile ad esempio ai sistemi di navigazione che, grazie agli orologi atomici montati sui loro satelliti, possono guidarci verso la nostra meta con un errore massimo di pochi metri o addirittura centimetri. Per capire come questo avvenga, è utile a questo punto ricordare come funziona un sistema GNSS: vediamo in particolare il GPS.

Il sistema GPS è composto da una costellazione di circa trenta satelliti in orbita intorno alla Terra, ad un’altitudine indicativa di più di 20 000 chilometri. Questi satelliti, equipaggiati con orologi atomici di cui capiremo la funzione tra poche righe, permettono agli utenti del sistema di stimare la propria posizione attraverso la trasmissione di onde radio, che viaggiano nominalmente alla velocità della luce e raggiungono in ogni momento e in quasi ogni punto della superficie terrestre qualsiasi oggetto – come il nostro smartphone – che sia munito di un ricevitore. I dati di localizzazione, cioè le coordinate spaziali, si ricavano effettuando il calcolo della distanza tra il ricevitore GPS e i satelliti, secondo la nota equazione che ci dice che la velocità $(v)$ si ottiene dividendo uno spazio per un tempo $(v=s/t)$. In questo caso la nostra incognita è lo spazio $(s=x)$, mentre ci è già nota la velocità, che è quella della luce e delle onde radio, e il tempo si può ricavare facilmente. Quest’ultimo corrisponde infatti all’intervallo che il segnale radio inviato dai satelliti impiega a raggiungere il ricevitore GPS e può essere stimato con estrema accuratezza grazie agli orologi atomici presenti sui satelliti. È dunque evidente che la precisione con cui possiamo sapere dove siamo discende dall’accuratezza delle misure di tempo degli orologi atomici.

Per stabilire una posizione tramite GNSS non basta però un solo satellite, ne occorrono quattro! Scopriamone il motivo (fig. 4).

Conoscere la nostra distanza da un unico satellite significa sapere soltanto che ci troviamo su uno qualsiasi dei punti che formano la superficie di una sfera con raggio equivalente a questa distanza. Per restringere il campo occorre stabilire la nostra distanza da altri due satelliti, ricavando così altre due sfere che si intersecano con la prima in due punti. Di questi, il punto che giace sulla superficie terrestre è quello in cui ci troviamo.

Ma non si era parlato di quattro satelliti? A che cosa serve il quarto?

Abbiamo appena visto come le informazioni spaziali fornite da un sistema GNSS dipendano da misure di tempo, date dagli orologi. Occorre dunque che tutti gli orologi in azione funzionino correttamente e che il loro ticchettio avvenga all’unisono rispetto a una scala di tempo comune, stabile e precisa. Gli orologi non sono però tutti uguali: per ragioni di costo e di spazio, l’orologio presente nel ricevitore GPS non è di tipo atomico come quelli installati sui satelliti: è un semplice dispositivo al quarzo che non possiede le caratteristiche di stabilità proprie dei suoi “colleghi”. Questi ultimi, inoltre, sono sincronizzati con la scala di tempo propria del sistema di navigazione cui appartengono, contrariamente all’orologio del ricevitore, che può rallentare o accelerare significativamente la sua marcia rispetto agli orologi atomici, introducendo così un’incertezza tale da avere un effetto non trascurabile sulla stima della posizione del ricevitore. Basti pensare che, poiché la luce viaggia a circa 300 000 chilometri al secondo, un errore di appena un millesimo di secondo comporterebbe un’indeterminazione di 300 chilometri!

Per ovviare all’inadeguatezza del povero orologio al quarzo, si ricorre a un quarto satellite, considerando la differenza di tempo tra l’orologio del ricevitore e quelli dei satelliti come un’incognita aggiuntiva, oltre alle coordinate spaziali. Il calcolo è un po’ più complicato, ma non troppo!

6 Dalla teoria alla pratica: il GNSS in una stanza

In sintesi, come abbiamo appena visto, la radiolocalizzazione satellitare consiste in un processo di trilaterazione: dalla posizione nota di tre satelliti si ottiene quella dell’utente munito di ricevitore GPS. La distanza del ricevitore dai satelliti si ricava dalle misure di tempo date da una serie di orologi che non marciano però tutti con lo stesso ritmo. Gli orologi atomici dei satelliti ticchettano all’unisono secondo la scala di tempo propria del sistema di navigazione (il cosiddetto GPS time), mentre l’orologio del ricevitore non è vincolato ad alcuna scala di tempo e non è altrettanto stabile. Per risolvere il problema della differenza tra l’ora del ricevitore e quella dei satelliti si fa riferimento a un quarto satellite, trasformando di fatto il processo in una quadrilaterazione.

Stabilire le coordinate del punto in cui si trova l’utente richiede quindi la soluzione di un sistema di quattro equazioni con quattro incognite. Le prime tre sono le coordinate della posizione dell’utente, la quarta è lo scarto di tempo tra l’ora degli orologi atomici presenti sui satelliti e l’ora dell’orologio al quarzo del ricevitore.

Il principio di funzionamento dei sistemi di navigazione satellitare non è così complesso come può sembrare, soprattutto se a una buona spiegazione teorica si fa seguire un’esperienza pratica, come quella che hanno potuto vivere i giovani partecipanti alla Conferenza EEE. I ricercatori INRiM avevano infatti preparato per loro un’esercitazione basata sulla simulazione di un sistema GNSS. Ai ragazzi, suddivisi in piccoli gruppi di lavoro affinché tutti potessero cimentarsi nell’attività, è stato chiesto di eseguire alcune semplici misurazioni e di inserire i valori ottenuti in un’equazione non lineare per calcolare la propria posizione, proprio come farebbe un ricevitore GPS.

Pochi e semplici i mezzi utilizzati: una stanza, tre oggetti all’interno della stanza che rappresentavano altrettanti satelliti e un distanziometro o misuratore laser (fig. 5). Questo piccolo strumento portatile, in grado di misurare la distanza tra due punti mediante l’emissione di un raggio laser a bassa energia, è ormai abbastanza diffuso ma, nel caso alcuni dei lettori di questa rivista non ne avessero mai utilizzato uno, giova ricordarne brevemente il funzionamento.

Nel momento in cui viene attivato, il distanziometro emette un raggio laser che colpisce l’oggetto da cui vogliamo misurare la distanza, mentre un segnatempo elettronico calcola il tempo trascorso tra l’emissione e il ritorno del raggio. Basandosi sulla velocità della luce, che è un valore noto, come già detto altrove in questo articolo, lo strumento quantifica la distanza percorsa dal raggio nel suo percorso di andata secondo l’equazione:

velocità $(v) \times $ tempo $(t)/2 =$ spazio $(s)$ [o distanza].

Il principio di funzionamento per il calcolo della distanza è insomma identico a quello attuato dai satelliti dei sistemi GNSS dotati di orologi atomici (che servono per ottenere misure spaziali il più possibile precise e accurate).

All’interno della stanza utilizzata per l’esercitazione è stato immaginato un sistema cartesiano di riferimento, composto da tre assi ortogonali tra loro ($x$, $y$ e $z$) intersecantisi in un punto di origine detto $O$ (fig. 6). Tale sistema permetteva di individuare la posizione di ogni punto della stanza tramite tre coordinate.

A tre oggetti presenti nella stanza è stato assegnato il “ruolo” di satellite: ad esempio, il cestino della carta sul pavimento (A), un libro posato su una mensola (B), un quadro appeso a una parete (C).

Il numero dei satelliti è stato limitato a tre in quanto, data l’adozione di una modalità di misura semplificata rispetto a quella reale dei ricevitori GPS, lo scarto tra la scala di tempo satellitare e quella dell’utilizzatore risultava ininfluente: si è finto, in poche parole, che tutti gli orologi del sistema GNSS fossero sincronizzati tra loro e che fosse dunque sufficiente una “trilaterazione” anziché una “quadrilaterazione”.

A questo punto ogni gruppo di studenti, a turno, ha iniziato col definire le coordinate spaziali dei satelliti rispetto al sistema tridimensionale di riferimento istituito, ovvero la loro posizione sugli assi $x$, $y$ e $z$ rispetto all’origine $O$.

Con il misuratore laser è stata poi determinata la distanza da ciascuno dei tre satelliti ($d_A$, $d_B$, $d_C$) di un ipotetico utilizzatore di GPS (P), “interpretato” da uno studente o da un oggetto collocato in un punto qualsiasi della stanza adibita all’esercitazione. Dai valori ricavati con il distanziometro, invertendo le equazioni della distanza, gli studenti hanno calcolato la posizione di P:

$ d_A = \sqrt{(x-xA)^{2} + (y-y_A)^{2} + (z-z_A)^{2}}$

$ d_B = \sqrt{(x-x_B)^{2} + (y-y_B)^{2} + (z-z_B)^{2}}$

$ d_C = \sqrt{(x-x_C)^{2} + (y-y_C)^{2} + (z-z_C)^{2}}$.

Gli stessi valori sono stati forniti a un programma di calcolo per verificare il risultato ottenuto “a mano”. Il programma “Simula_GPS.py”, in linguaggio Python, sviluppato alcuni anni fa dal ricercatore INRiM Valerio Pettiti, richiede infatti l’introduzione delle tre distanze in metri e fornisce la stima delle coordinate del punto, sempre in metri.

In sintesi agli studenti sono stati assegnati questi quattro compiti:

1. determinare le coordinate dei “satelliti”: A ($x_A$, $y_A$, $z_A$), B ($x_B$, $y_B$, $z_B$), C ($x_C$, $y_C$, $z_C$) rispetto ai tre assi del sistema cartesiano di riferimento ($x$, $y$, $z$);
2. determinare la distanza dai satelliti A, B e C ($d_A$, $d_B$ e $d_C$) di un ipotetico utilizzatore di GPS;
3. risolvere un sistema di tre equazioni a tre incognite;
4. verificare i risultati ottenuti utilizzando un programma di calcolo.

L’esperimento semplice e intuitivo studiato per spiegare il funzionamento dei sistemi GNSS ha suscitato entusiasmo nei ragazzi, che, prima guidati dagli esperti dell’INRiM e aiutati dai loro insegnanti e poi in maniera autonoma, hanno eseguito diverse simulazioni, discutendo tra loro i risultati ottenuti. Sembra davvero che scoprire in maniera pratica e interattiva come funzionano i sistemi di localizzazione satellitare, di cui oggi possiamo avvalerci persino dai nostri smartphone, sia stato considerato interessante e divertente dagli studenti. Ma anche i ricercatori hanno apprezzato la loro esperienza nel ruolo di divulgatori! (Box 4).