Gas ecologici per RPC e MRPC
Marco Garbini
1 I rivelatori a gas: cenni storici e principio di funzionamento
La storia dell’utilizzo dei rivelatori a gas per la rivelazione delle particelle risale allo strumento descritto da Rutherford e Geiger nel 1908, introdotto come un "electrical method" per il conteggio delle particelle $\alpha$. Il rivelatore consisteva in un tubo cilindrico, di materiale metallico, riempito con aria (o altri gas), con un filo sottile lungo il suo asse (fig. 1). Applicando una differenza di potenziale tra il tubo ed il filo, il passaggio delle particelle era rilevato come impulsi di corrente su un elettrometro.
Il principio di funzionamento dei sistemi di rivelazione come quello descritto, racchiusi nel termine di rivelatori a gas, si basa sul fenomeno della ionizzazione di un gas causata dal passaggio delle particelle all’interno del volume in cui il gas è racchiuso. Per cercare di capire, facciamo riferimento alla geometria introdotta da Rutherford e Geiger: nell’attraversare il mezzo gassoso contenuto nel tubo (contrassegnato con la lettera A in fig. 1) le particelle cedono energia agli atomi o alle molecole del gas e possono provocare la separazione degli elettroni dai nuclei, creando così coppie ione positivo-elettrone. In condizioni normali, cioè in assenza di un campo elettrico nel volume di gas, le coppie create tendono a ricombinarsi per effetto dell’agitazione termica: in questa situazione non accade nulla e il passaggio della particella nel volume non lascia alcun segno rivelabile. Se però applichiamo una differenza di potenziale tra il tubo metallico (polo negativo) ed il filo centrale del dispositivo (polo positivo), otteniamo un campo elettrico nel volume di gas. La presenza di un campo elettrico fa sì che le cariche create per ionizzazione dal passaggio della particella si muovano in modo ordinato verso gli elettrodi (anodo e catodo) di segno opposto e possano, in opportune condizioni, dar luogo alla moltiplicazione delle coppie primarie fino ad arrivare ad innescare un fenomeno a valanga (valanga di Townsend): le cariche primarie, accelerate dal campo elettrico possono, urtando altre molecole del gas, produrre ionizzazione secondaria. A questo punto è facile immaginare come le cariche prodotte possano dare origine ad un impulso elettrico che può essere misurato e che diviene il segnale del passaggio di una particella nel nostro rivelatore.
Prima di ripercorrere sinteticamente i passi che hanno portato all’ideazione di alcuni dei rivelatori che oggi si usano in molti esperimenti, vogliamo sottolineare come all’aumentare della tensione applicata tra i due elettrodi è possibile osservare vari modi di funzionamento dei rivelatori stessi. Come mostrato schematicamente in fig. 2, al crescere della tensione (asse delle ascisse) tra gli elettrodi si hanno diversi regimi di funzionamento: per valori di tensione troppo bassi le coppie elettrone-ione si ricombinano; aumentando la tensione si lavora nella regione di camera a ionizzazione (si raccoglie carica senza amplificare il numero di coppie prodotte). Si passa poi nella zona in cui il nostro rivelatore funziona in regime di proporzionalità, dove la carica prodotta è amplificata in modo proporzionale a quella prodotta per ionizzazione primaria; aumentando ulteriormente la tensione applicata si entra nella regione di proporzionalità limitata dove si producono valanghe secondarie a partire da quelle primarie per finire poi nella regione di saturazione o Geiger-Müller: il segnale è saturato e del tutto indipendente dalla ionizzazione primaria (o dalla radiazione incidente).
Come accennato, quello descritto da Rutherford e Geiger, considerato tra i primi dispositivi elettronici, ha dato il via allo studio e realizzazione di strumenti sempre più avanzati. Risale al 1928, ad esempio, la descrizione del contatore Geiger-Müller in grado di produrre appunto segnali indipendenti dalla ionizzazione primaria. Altri progressi si ebbero negli anni seguenti e, soprattutto in questi primi anni, fu la fisica dei raggi cosmici a beneficiare maggiormente dello sviluppo di tali dispositivi, come risulta evidente negli esperimenti di Bothe e Kolhörster o dall’invenzione da parte di Bruno Rossi di circuiti di coincidenza. Fu infatti nel 1930 che Bruno Rossi costruì un circuito elettronico a valvole, mostrato in fig. 3, in grado di dare un impulso in uscita solo se le particelle attraversano tre contatori Geiger simultaneamente. Rossi utilizzò il circuito per capire la capacità di penetrazione dei raggi cosmici: interpose mattoni di piombo tra un contatore e l’altro scoprendo che le particelle della radiazione cosmica potevano attraversare anche uno spessore totale pari a un metro di piombo.
Prima di proseguire, vale la pena ricordare un altro, tra i molti, contributi legati all’invenzione di Rossi. Nel 1934, Rossi osservò che alcuni contatori Geiger rivelano il passaggio di particelle simultaneamente anche se collocati orizzontalmente; insieme a De Benedetti notò che “[...] once in a while the recording equipment is struck by very extensive showers of particles, which cause coincidences between counters, even placed at large distances from one another.”: era la prima evidenza degli sciami estesi, la pioggia di particelle che arrivano a terra a seguito dell’interazione di un raggio comico primario con l’atmosfera terrestre.
Lo sviluppo di nuovi apparati sperimentali e l’inizio degli esperimenti agli acceleratori portarono all’introduzione di rivelatori con prestazioni superiori a quelle offerte dai rivelatori di tipo Geiger-Müller. Dopo una fase in cui i rivelatori a scintillazione ebbero un rapido sviluppo, l’utilizzo dei rivelatori a gas fu rilanciato con l’introduzione da parte di Charpak nel 1968 della camera proporzionale a multi-fili (Multiwire Proportional Chamber), il cui primo prototipo è mostrato in fig. 4.
Di pari passo allo sviluppo dei rivelatori, e dell’elettronica in grado di supportarli, progredì anche lo studio dei gas, o delle miscele di gas, da utilizzare all’interno dei rivelatori per ottenere le migliori prestazioni. I decenni successivi videro quindi un rapido sviluppo delle tecniche, specialmente nella fisica delle alte energie, ma anche nella fisica nucleare e in altri campi.
All’inizio degli anni ‘70 fu introdotta la Pestov Chamber, dal nome del fisico russo che contribuì a svilupparla. Il rivelatore si basa a sua volta sulla geometria con elettrodi conduttori a facce piane parallele utilizzata nelle Spark Chamber (mostrata schematicamente in fig. 5). Entrambi i rivelatori operano in modalità “streamer”, vale a dire che il campo elettrico presente tra gli elettrodi è tale da produrre una scarica tra essi per effetto della moltiplicazione a valanga della ionizzazione primaria. Nella camera di Pestov l’elettrodo positivo, l’anodo, è però costituito da un vetro ad alta resistività che limita lo svilupparsi della scintilla (spark) in una regione ridotta dell’elettrodo. Ciò causa una caduta di tensione e, quindi, una minore capacità di creare moltiplicazione della carica primaria di ionizzazione, ma solo in una regione dell’elettrodo localizzata e per un tempo relativamente breve; il resto del volume del rivelatore rimane, in questo modo, sensibile al passaggio di altre particelle cariche e il rivelatore è così in grado di rivelare flussi di particelle più elevati rispetto ai dispositivi precedenti.
Se la Spark Chamber e la Pestov Chamber funzionano in modalità streamer, le Parallel Plate Avalanche Chamber (PPAC) sono utilizzate, appunto, in modalità “avalanche”: la moltiplicazione della carica per ionizzazione secondaria procede a valanga, ma l’apparizione degli streamer e delle successive scariche e scintille sono soppresse non solo grazie all’applicazione dell’opportuna tensione tra gli elettrodi, ma anche grazie alla scelta di opportuni gas all’interno del volume della camera. La PPAC ha lo stesso layout base dei precedenti rivelatori, in cui due elettrodi planari racchiudono un gap di gas compreso tra 0.5 e 2 mm, ed è in grado di funzionare ad alti flussi di particelle: può sopportare flussi (rate) di milioni di particelle al secondo e cm2 (MHz/cm2), con una risoluzione temporale di alcune centinaia di picosecondi (miliardesimi di secondo). I segnali prodotti sono tuttavia molto piccoli, e, per avere buone prestazioni, è necessario utilizzare circuiti di amplificazione del segnale.
Nel 1982 fu poi introdotta la Resistive Plate Chamber (RPC). Il design di questo rivelatore è simile a quello delle Spark Chamber o delle PPAC: i due elettrodi sono sempre a facce piane e parallele e realizzati entrambi con materiali ad alta resistività, tipicamente bachelite (una particolare resina ottenuta mediante la reazione di fenolo e formaldeide, molto resistente, leggera e con un’ottima resistenza al calore e agli agenti chimici) o vetro. Una volta che si applica l’alta tensione tra gli elettrodi si ha lo stesso effetto del contatore Pestov: l’alta resistività limita la caduta di potenziale localmente nella zona in corrispondenza della ionizzazione mentre il resto del volume del rivelatore rimane sensibile al passaggio di altre particelle, così da garantire la capacità di rivelare flussi molto alti di particelle al secondo (i.e. alto rate). A seconda delle caratteristiche e dei parametri del rivelatore, come la tensione applicata agli elettrodi, lo spessore del volume di gas tra gli elettrodi (gap) o la miscela gassosa utilizzata, le RPC possono essere utilizzate in modalità “streamer” o in modalità “avalanche”. Il funzionamento di una RPC in modalità “streamer” è simile a quello di una Spark Chamber: l’elevata tensione applicata agli elettrodi permette la moltiplicazione della ionizzazione primaria; si crea così l’effetto a valanga e, infine, se poi la moltiplicazione totale è sufficientemente alta, si crea una vera e propria scarica (sempre localizzata nella zona della ionizzazione primaria, tra gli elettrodi). In modalità streamer i segnali prodotti in uscita da una RPC sono piuttosto grandi e quindi semplici da misurare e, in alcuni casi, anche senza utilizzare circuiti di amplificazione. Se si opera una RPC in modalità “avalanche” il passaggio al regime di streamer è un effetto indesiderato: si cerca perciò di limitare la moltiplicazione secondaria, anche attraverso l’utilizzo di opportune miscele di gas che contengano, ad esempio, componenti elettronegativi che assorbono parte degli elettroni che si generano nel processo di moltiplicazione. I segnali in uscita dalle RPC che lavorano in modalità avalanche sono molto piccoli e si ha quindi la necessità di una buona elettronica di amplificazione.
Un’intensa attività di ricerca e sviluppo è stata intrapresa poi negli anni ‘90 al fine di trovare soluzioni in grado di soddisfare i requisiti richiesti per gli esperimenti al Large Hadron Collider (LHC) del CERN. Gli alti flussi di particelle e le altre sfide poste da tale acceleratore hanno richiesto una scelta molto attenta di tutte le soluzioni sperimentali. La velocità, l’alta efficienza e la possibilità di ricoprire grandi superfici mantenendo i costi limitati hanno fatto sì che le RPC, in modalità “avalanche”, fossero ampiamente utilizzate a LHC, ad esempio negli esperimenti ATLAS e CMS. L’esperimento ALICE utilizza inoltre, nel suo sistema di misura del tempo di volo delle particelle, le Multigap Resistive Plate Chamber (MRPC), un nuovo tipo di RPC in cui il volume di gas tra gli elettrodi è diviso in più gap, come mostrato in fig. 6. Tali rivelatori hanno raggiunto risoluzioni sulla misura dei tempi di poche decine di millesimi di miliardesimo di secondo.
Così elevate prestazioni dei rivelatori a gas sono rese possibili anche dallo studio e dalla scelta di miscele di gas per il riempimento dei rivelatori tali da garantire alta efficienza e ottime risoluzioni temporali e spaziali e durata di funzionamento di decine di anni. Le RPC e le MRPC sono oggi utilizzate non solo negli esperimenti al CERN, ma in molti altri esperimenti di fisica delle alte energie, di fisica nucleare o anche nello studio dei raggi cosmici.
I gas utilizzati nelle RPC o MRPC sono spesso ad alto impatto ambientale e utilizzati dalle industrie, nei sistemi refrigeranti o come isolanti per pannelli elettrici. Come vedremo in seguito, nonostante il loro utilizzo sia consentito per la ricerca scientifica, la comunità dei fisici legata a tali rivelatori è da tempo impegnata nella ricerca di soluzioni alternative più ecosostenibili e che siano anche in grado di soddisfare i requisiti dei prossimi progetti di ricerca agli acceleratori e non solo. Tali rivelatori dovranno, ad esempio, essere in grado di affrontare e poter gestire al meglio il notevole aumento dei flussi di particelle previsto nel futuro per i grandi acceleratori come, ad esempio, per la fase ad alta luminosità del Large Hadron Collider del CERN.
2 L’effetto serra, il potenziale di riscaldamento globale (GWP) e l’Europa
Quando si parla di effetto serra spesso si pensa alle conseguenze che le attività umane, in particolare quelle più inquinanti, provocano sul nostro pianeta. In realtà con tale termine si indica un processo del tutto naturale che è anche il principale responsabile dell’andamento della temperatura sulla Terra. Il modello climatico del nostro pianeta può, infatti, essere riassunto in maniera estremamente semplificata, nel seguente modo: la superficie terrestre è riscaldata continuamente dalla radiazione solare; tale radiazione è in parte riflessa come radiazione termica in parte assorbita dai gas serra atmosferici, quali il vapore acqueo ( H2O ) l’anidride carbonica ( CO2 ) il metano ( CH4 ) e il protossido di azoto ( N2O ), che rilasciano poi l’energia assorbita; parte della radiazione è riemessa verso la terra così che la superficie terrestre e lo strato atmosferico sottostante sono di conseguenza riscaldati. La fig. 7 mostra questo modello semplificato.
In realtà, come si può facilmente immaginare, molteplici sono i fattori che concorrono a determinare il clima terrestre. Oltre alla concentrazione di gas serra nell’atmosfera vi sono le correnti oceaniche, le radiazioni solari stesse e molti altri fattori. La composizione dell’atmosfera gioca, comunque, un ruolo centrale nell’evoluzione del clima ed anche nella possibilità che la vita si sia sviluppata sul nostro pianeta; ci protegge, ad esempio, dalle radiazioni ultraviolette (UV) emesse dal Sole, a noi invisibili ma che danneggerebbero seriamente qualsiasi organismo vivente.
Oggi sappiamo che l’equilibrio naturale tra radiazione incidente e radiazione riflessa è alterato dai gas serra prodotti dall’uomo. Dall’inizio dell’industrializzazione le emissioni dei gas che influenzano il clima, come il biossido di carbonio ( CO2 ), il metano e il protossido di azoto, sono aumentate sensibilmente. Al giorno d’oggi si registra il 40% di CO2 in più rispetto all’inizio dell’era industriale. Pertanto, la superficie terrestre dall’inizio del XX secolo si è riscaldata, secondo le stime, a livello globale di oltre 1 °C. Si parla in questo caso di effetto serra artificiale o “antropico”, ed è questa parte dell’effetto serra da contrastare sul nostro pianeta.
L’evidente importanza delle problematiche legate all’ambiente è testimoniata anche dal fatto che sia il modello climatico del pianeta che l’identificazione delle ragioni antropiche del riscaldamento climatico sono stati riconosciuti dal Premio Nobel per la Fisica 2021. Ricordiamo infatti che l’importante premio assegnato dall’Accademia reale svedese delle scienze in quell’anno fu conferito a Giorgio Parisi, Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann, per i loro contributi “rivoluzionari” per la comprensione di quei sistemi fisici che vanno sotto il nome di sistemi complessi. In particolare, a Manabe e Hasselmann per i loro contributi nella modellizzazione del clima e per la previsione in modo affidabile riscaldamento globale (fig. 8).
Per valutare l’impatto che un determinato gas ha sul delicato equilibrio descritto si utilizza un indice numerico che è chiamato potenziale di riscaldamento globale (abbreviato con GWP dall’inglese Global Warming Potential) che esprime il contributo all’effetto serra di un gas relativamente all’effetto della CO2, il cui potenziale di riferimento è pari a 1. In tabella 1 a titolo di esempio riportiamo i valori di GWP di alcuni gas o famiglie di gas. Per capire meglio il significato del GWP prendiamo a riferimento il gas difluorometano (R32), un HFC utilizzato all’interno di impianti di climatizzazione residenziali che è caratterizzato da un GWP pari a 675. Ciò significa che un chilogrammo di R32 emesso in atmosfera provoca un aumento dell’effetto serra pari a quello causato da 675 chilogrammi di CO2, che a sua volta è circa la quantità emessa da un autoveicolo di media cilindrata che percorre oltre 5000 chilometri.
I gas denominati F-gas, cioè i gas fluorurati, insieme ai clorofluorocarburi (CFC), i bromofluorocarburi ed altri (genericamente Halon), non esistevano prima del XX secolo perché fondamentalmente legati alle attività umane ed in particolare ai processi industriali. Sono le emissioni di questi gas ad apportare un significativo contributo all’effetto serra antropico. Alcuni dei gas in tabella sono poi ampiamente presenti nella vita di tutti i giorni; l’SF6, ad esempio, è utilizzato nelle apparecchiature elettriche mentre molti gas della famiglia degli idrofluorocarburi (HFC) sono utilizzati nel settore della refrigerazione e condizionamento.
Il Protocollo di Kyoto, adottato l’11 dicembre 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005, che fa seguito alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), è uno dei più importanti strumenti giuridici internazionali volti a combattere i cambiamenti climatici e rappresenta il primo accordo internazionale che contiene gli impegni dei paesi industrializzati a ridurre le emissioni di alcuni gas ad effetto serra, responsabili del riscaldamento del pianeta. In particolare, il protocollo di Kyoto concerne le emissioni di sei gas ad effetto serra quali CO2, metano (CH4), protossido di azoto (N2O), HFC, PFC e SF6, introducendo una serie di obiettivi vincolanti e quantificati di limitazione e riduzione dei gas ad effetto serra per i 37 paesi industrializzati aderenti e la Comunità Europea. I paesi industrializzati riconosciuti come principali responsabili dell’aumento dei livelli di gas ad effetto serra presenti in atmosfera si sono impegnati a ridurre le loro emissioni di gas ad effetto serra, nel periodo 2008-2012, di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990. Il Protocollo di Kyoto ha rappresentato il punto di partenza della comunità internazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici.
Nel giugno 2014 è poi entrato in vigore il regolamento F-gas UE 517/2014, concretizzazione della politica ambientale che l’Unione Europea ha deciso di adottare per contenere, prevenire, e ridurre le emissioni di gas fluorurati ad effetto serra, il contenimento, l’uso, il recupero e la distruzione di tali gas, nonché l’etichettatura e lo smaltimento di prodotti e apparecchiature contenenti questi gas. Il regolamento impone una drastica riduzione nell’emissione di gas a effetto serra, con un target di riduzione del 79% entro il 2030 (utilizzando come riferimento la media di emissioni nel periodo 2009-2012). Per raggiungere questo ambizioso obiettivo sono state individuate diverse modalità d’intervento; innanzi tutto è stata regolamentata l’immissione sul mercato con l’imposizione di una riduzione progressiva delle importazioni di F-gas (HFC) nel territorio dell’Unione Europea (phase down), espressa in tonnellate (Ton) di CO2 equivalente, come meglio illustrato in fig. 9. Per capire meglio quanto mostrato in figura ricordiamo che la tonnellata di CO2 equivalente è un’unità di misura che permette di confrontare emissioni di gas serra diversi con differenti effetti climalteranti (GWP). Le tonnellate equivalenti si ottengono dal prodotto delle tonnellate di gas in questione e il suo GWP. Ad esempio, una tonnellata di metano che ha GWP 21 equivale a 21 tonnellate di CO2 equivalente. In questo modo è possibile paragonare tra di loro gas diversi, quando si considera il loro contributo all’effetto serra. Quindi, con riferimento al grafico di fig. 9, se la media delle emissioni di gas a effetto serra nel periodo 2009-2012 è preso a riferimento e in qualche modo considerato il massimo delle emissioni possibili (100%), il regolamento del 2014 prevede che entro il 2030 le emissioni totali siano pesantemente abbattute.
Congiuntamente al phase down sono state introdotte restrizioni e divieti di utilizzo su nuovi impianti che entreranno in vigore nel corso degli anni. Dal primo gennaio del 2022 è vietato l’utilizzo di F-gas con GWP maggiore di 150 in un’ampia gamma di attrezzature, dai frigoriferi e surgelatori commerciali agli impianti centralizzati per uso refrigerazione commerciale, ai condizionatori portatili. Non mancano inoltre nuove regolamentazioni della frequenza di controllo delle eventuali perdite dagli impianti di condizionamento e refrigerazione. Molti settori delle attività umane, tra i quali anche la ricerca scientifica, sono quindi impegnati da diversi anni nella transizione verso soluzioni a basso, se non nullo impatto ambientale.
3 La ricerca di alternative ecologiche per RPC e MRPC
I rivelatori a gas, RPC e MRPC, utilizzati in molti esperimenti, sia al CERN sia in altri laboratori, fanno uso di gas ad effetto serra ad alto impatto ambientale, come SF6 e vari gas della famiglia HFC, tra i quali il tetrafluoroetano, R134a. Sebbene il loro uso per motivi scientifici non sia esplicitamente proibito, la nuova regolamentazione europea e l’inizio della politica di phase down degli F-gas ha prodotto come conseguenza un aumento di prezzo e una crescente difficoltà nell’approvvigionamento dei gas necessari. Per queste ragioni e anche per dare una risposta attiva al problema dell’impatto ambientale di tutte le attività umane, la comunità scientifica legata all’utilizzo di tali rivelatori si è mobilitata sin da subito per trovare possibili alternative più rispettose dell’ambiente. Ci limiteremo qui a descrivere alcune delle linee di ricerca, sottolineando che alcune di esse sono tuttora in corso.
Ad esempio, nell’Environment Report 2019-2020 del CERN, si è evidenziato come il principale contributo alle emissioni di gas serra sia correlato all’uso di vari gas fluorurati nei rivelatori di particelle e per il loro raffreddamento. Secondo tale documento nel 2019 e nel 2020, la quantità totale di emissioni di gas a effetto serra al CERN è stata di circa 80000 e circa 100000 tonnellate di CO2 equivalente. Si tratta di meno della metà della quantità emessa nel periodo 2017-2018, dal momento che il complesso dell’acceleratore era nella sua seconda fase di arresto di lunga durata per upgrade (denominata Long Shutdown 2, LS2), come mostrato in fig. 10.
Visto il contributo alle emissioni, i grandi esperimenti su acceleratore del CERN hanno iniziato un intenso programma congiunto di ricerca di nuove miscele in grado di garantire le prestazioni richieste dalla fase attuale di LHC ma anche nella futura fase ad alta luminosità (High-Luminosity LHC, HL-LHC). Nei programmi scientifici dell’acceleratore LHC è previsto, infatti, un aumento di un fattore 5 della “luminosità istantanea”, e di un fattore 10 la “luminosità integrata”. Entrambe le grandezze sono legate alla quantità di dati che gli esperimenti potranno acquisire (si veda box 1).
Per avere un’idea di quanto sarà impegnativa l’evoluzione di LHC ci basti ricordare che nei primi anni di funzionamento, fino alla fine del 2018, LHC ha prodotto poco più di 160 fb–1 di dati, cioè 16000 milioni di milioni di collisioni; HL-LHC produrrà invece più di 250 fb–1 di dati all’anno. È chiaro quindi come sia necessario migliorare gli esperimenti che dovranno essere potenziati e ottimizzati per rispondere alla maggiore quantità istantanea di collisioni.
Gli sviluppi e ammodernamenti dei rivelatori sia per l’attuale fase denominata RUN3 di LHC sia per la fase HL-LHC sono in linea con la necessità di seguire le nuove regolamentazioni sui gas ad effetto serra. Una delle prime linee su cui gli esperimenti al CERN si sono mossi per limitare gli effetti delle attività sperimentali sulle emissioni ha riguardato l’ottimizzazione e aggiornamento dei sistemi di gas già esistenti. In particolare, si sono introdotti per i grandi esperimenti dei sistemi di ricircolo delle miscele utilizzate. Tipicamente le ottime prestazioni dei rivelatori RPC o MRPC prevedono un continuo ricambio di gas al loro interno e i sistemi sono quindi, tipicamente, a circuito aperto: dopo esser passato nei rivelatori il gas è quasi sempre emesso in atmosfera. L’introduzione di sistemi di ricircolo è un primo modo di intervenire sulle emissioni e sui consumi di gas ad effetto serra; essi permettono, in condizioni ottimali, il riutilizzo del 90% del gas che ha già circolato nei rivelatori, con una conseguente riduzione del 90% della richiesta e utilizzo di nuovo gas. La possibilità di utilizzare un sistema di ricircolo prevede a livello dei rivelatori la riduzione al minimo se non la totale eliminazione di eventuali perdite; per tale motivo durante i periodi in cui l’acceleratore LHC non era in funzione per miglioramenti alla macchina e agli esperimenti in vista del RUN3, sono state condotte campagne di ricerca ed eliminazione delle eventuali perdite. Dato che il gas consumato maggiormente negli esperimenti è il tetrafluoretano, F-gas con sigla R134a e GWP di 1430, si è anche lavorato allo sviluppo di un sistema di recupero totale di tale gas estraendolo dal gas residuo espulso in atmosfera. Test su alcuni prototipi hanno fornito risultati incoraggianti e l’attività di ricerca e sviluppo è tuttora in corso.
Oltre a queste linee di ricerca al fine di trovare soluzioni ecosostenibili per il futuro funzionamento dei rivelatori sono in corso studi per trovare alternative “verdi” ai gas attualmente utilizzati. Sfortunatamente, i nuovi gas sviluppati dall’industria come fluidi refrigeranti non si comportano come l’R134a nei rilevatori di particelle, il che rende difficile la sostituzione negli esperimenti attuali.
Vale la pena notare la forte collaborazione che si è instaurata in primis tra i grandi esperimenti al CERN ma anche in tutta la comunità di fisici che utilizza RPC e MRPC per trovare gas o miscele sostitutive ad impatto ambientale ridotto se non nullo e con prestazioni equivalenti alle miscele standard. Al CERN dal 2019 una collaborazione di ricercatori che lavorano a diversi esperimenti e in diversi laboratori (da ATLAS, CMS, ALICE, LHCb/SHiP e gruppi del CERN) ha iniziato una serie di test su RPC caratterizzate in partenza da elettronica di lettura dei segnali diversa, spessore dei gap e layout diversi, utilizzando miscele di gas ecologici diverse. I testi si sono svolti al CERN presso uno speciale laboratorio denominato Gamma Irradiation Facility, GIF++: dopo il suo aggiornamento la facility è un luogo unico in cui fasci di particelle cariche ad alta energia (principalmente fasci di muoni con quantità di moto fino a 100 GeV/c) sono combinati con una sorgente di cesio-137 da 14 TBq (14 milioni di milioni di decadimenti al secondo). L’attività della sorgente è molto elevata e consente ai rivelatori che sono testati di accumulare dosi equivalenti alle condizioni sperimentali di HL-LHC in un tempo ragionevole. In questo modo gli esperimenti possono misurare sia le prestazioni istantanee dei rivelatori e dell’elettronica associata sia eventuali effetti di invecchiamento dei nuovi gas utilizzati.
Il gas ecologico più interessante finora individuato per sostituire il tretrafluoroetano, R134a, è il tetrafluoropropene HFO-1234ze (C3H2F4) che presenta un GWP inferiore a 10. Tale gas è stato introdotto nell’industria della refrigerazione come sostituto dell’R134a e la molecola molto simile ha subito attratto l’interesse dei fisici che utilizzano RPC e MRPC. In effetti al momento si sta dimostrando come un ottimo candidato ed è quindi stato studiato al GIF++ in diversi rapporti con CO2. Tra la fine del 2021 e il 2022 sono stati effettuati diversi test su fascio per stabilire le prestazioni delle RPC. Dopo tali test si passerà agli studi di invecchiamento che permetteranno di ottenere un quadro completo delle prestazioni raggiungibili dai rivelatori con le nuove miscele.
Tra gli esperimenti che non si trovano in condizioni sperimentali estreme come quelle presenti a LHC e HL-LHC, c’è il Progetto Extreme Energy Events (EEE), una collaborazione tra il Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi” (CREF) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), costituita da un network di telescopi traccianti per muoni basati su MRPC di grande area (circa 2 m2), che studia i raggi cosmici. Ad oggi EEE, con i suoi 60 telescopi distribuiti su tutto il territorio italiano (fig. 11), rappresenta l’esperimento con maggiore area sensibile basato su MRPC. L’altra caratteristica unica è l’ubicazione dei telescopi: la finalità di diffusione della cultura scientifica perseguita dal Progetto EEE si concretizza, infatti, nella forte collaborazione con le scuole superiori italiane, i cui studenti sono coinvolti in tutte le fasi dell’esperimento, dalla costruzione dei rivelatori al CERN, al loro funzionamento una volta installati nella loro scuola.
Anche le MRPC del Progetto EEE utilizzavano una miscela binaria di gas (R134a e SF6) e, nonostante le ridotte emissioni, la Collaborazione EEE ha avviato una campagna di transizione ecologica già da diversi anni. Uno dei primi interventi introdotto è stato quello di ridurre la quantità di gas utilizzato in ciascun rivelatore, limitando il consumo a circa la metà di quanto fatto sino a pochi anni fa. Per mantenere inalterate le ottime prestazioni dei rivelatori MRPC si è proceduto con una campagna di controllo ed eliminazione delle perdite dei singoli rivelatori.
In parallelo sono iniziati studi su nuove miscele di gas basate sul nuovo gas R1234ze in miscela con CO2 o elio. Gli studi iniziati già da diversi anni sono stati intensificati durante e dopo l’emergenza pandemica che ha comportato l’interruzione delle attività sperimentali nelle scuole. Dopo una serie di test, alcuni dei quali tuttora in corso, sono stati ottenuti ottimi risultati sia in termini di prestazioni sia in termini di stabilità di operazione. Infine, è in corso lo studio e progettazione, in collaborazione con il CERN, di un sistema di ricircolo della miscela che permetterebbe un’ulteriore riduzione sia di emissioni sia di costi.
La rete di telescopi del Progetto EEE è ora in una fase di commissioning durante la quale ogni telescopio è sottoposto a tutti i controlli necessari alla messa in funzione dopo il periodo di stop delle attività dovute alla pandemia da COVID-19. Nel corso dei prossimi mesi le attività riprenderanno in sequenza nelle varie sedi, e il Progetto EEE potrà riprendere le sue attività con nuovi gas ecocompatibili. In questa fase gli stessi studenti delle scuole partecipanti al Progetto EEE sono i protagonisti della transizione ecologica dell’esperimento; nel novembre del 2021 alcune scuole partecipanti al Progetto EEE sono tornate a riunirsi in presenza presso la Fondazione “Ettore Majorana” e Centro di Cultura Scientifica di Erice, sede storica degli incontri in presenza dell’esperimento. L’occasione è stata il workshop “1st Meeting of the EEE Project after COVID shutdown”, durante il quale, oltre a seguire vari seminari, gli studenti hanno partecipato ad una masterclass dal titolo “Ecogas per le stazioni EEE - Analisi dati su miscele ecologiche”. Gli studenti hanno avuto l’occasione di analizzare i dati acquisiti da alcuni telescopi del network EEE, in cui la miscela di gas standard è stata sostituita da diverse miscele con basso Global Warming Potential (GWP).
4 Conclusioni
Il tema della riduzione degli effetti delle attività umane sul clima è ormai di primaria importanza e tocca tutti gli ambiti della nostra vita. L’impronta lasciata dall’uomo sul nostro pianeta, a partire dall’inizio dell’industrializzazione, è evidente e le conseguenze sono ormai sotto gli occhi di tutti. Da diversi anni ormai le nazioni e le organizzazioni internazionali stanno spingendo per l’attuazione di programmi di riduzione delle emissioni di gas serra nell’ambiente. A partire dal protocollo di Kyoto del 1997 molti passi avanti sono stati fatti ma oggi ancora di più è necessario adottare nuove misure.
Come membri della società civile anche gli scienziati sono alla ricerca di soluzioni ecocompatibili per tutte le attività scientifiche e sperimentali di base che hanno impatto potenzialmente negativo sull’ambiente. Dai grandi centri di calcolo ai grandi laboratori nuove soluzioni per un’ecosostenibilità della scienza sono ormai pratica consolidata.
A questo impegno si uniscono anche i fisici che, per indagare l’essenza della natura, costruiscono rivelatori sempre più performanti per studiare fenomeni estremamente rari. Tra di essi vi è la comunità dei ricercatori che usano rivelatori RPC e MRPC, sofisticati e avanzati pronipoti dei primi rivelatori a gas utilizzati da Rutherford e Geiger, che stanno lavorando nei laboratori di tutto il mondo per trovare gas a impatto zero capaci di offrire ottime prestazioni per le odierne sfide della fisica delle alte energie e non solo.
Alcune soluzioni sono già state identificate e la transizione “green” in questo settore della ricerca fondamentale è ormai realtà.