La divulgazione scientifica fatta dagli studenti: un esperimento di successo

Daniele Murra, Sarah Bollanti, Emilio Giovenale


Essere uno scienziato vuol dire innanzitutto avere una grande curiosità su come funziona il mondo, una forte passione per lo studio e una predisposizione per il metodo scientifico, ma, e non è l’ultima delle caratteristiche, anche essere in grado di far capire agli altri, scienziati e non, le proprie idee e i risultati ottenuti a fronte di un esperimento o di una teoria. Non è un caso che un’autorità come Italo Calvino definisca Galileo Galilei “Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo”.

La scuola, di ogni ordine e grado, insegna agli studenti nozioni tecniche di base che, durante il corso di studi, diventano da una parte sempre più complesse e dall’altra sempre più interessanti per coloro che hanno una naturale inclinazione per le materie scientifiche.

Le scuole secondarie, in particolare gli Istituti Tecnici e i Licei Scientifici, sono dotate di moderni laboratori in cui poter vedere da vicino come si esegue un esperimento e come si giunge alla formulazione di una legge fisica basandosi sul metodo galileiano. E le stesse Università prevedono degli esami di laboratorio, dove gli studenti sono chiamati a gestire la strumentazione e a ricavare i risultati da un’esperienza.

Tutto ciò riguarda la formazione del futuro scienziato, mentre non viene insegnato, se non in minima parte, quel che riguarda l’esposizione dei risultati, l’illustrazione delle conclusioni, ovvero, in poche parole, la “disseminazione” in ambito specialistico e la “divulgazione” rivolta al grande pubblico.

Su questo punto aiutano poco le interrogazioni nella scuola superiore come pure gli esami universitari, e anche la discussione della tesi è poco più che un esame, dal momento che le persone che si hanno davanti sono sostanzialmente le stesse che si conoscono da anni e le domande che ci si possono aspettare sono già inquadrate in un ambito ristretto.

È molto diverso, infatti, discutere del proprio lavoro di tesi a un professore di fisica rispetto che parlarne ai propri genitori (i quali solitamente non si intendono di fisica), come pure mostrare il lavoro che si fa, ad esempio durante una borsa di studio, ad amici che non sono “del mestiere”. Eppure, la capacità del divulgatore scientifico è proprio quella di essere in grado di affrontare un uditorio che può riunire scienziati di notevole livello, ma anche persone digiune della materia, ed essere pronto a rispondere alle domande più inaspettate e, a volte, imbarazzanti.

Tra l’altro, la divulgazione del sapere scientifico è diventata negli ultimi anni sempre più importante, tanto da essere formalizzata e riconosciuta all’interno della “Terza missione” delle Università e degli Enti Pubblici di Ricerca, che include attività di trasferimento scientifico, tecnologico e culturale, con l’obiettivo di promuovere la crescita economica e sociale del territorio.

Per cercare di unire la capacità di “fare scienza” con quella di “spiegare la scienza” e ispirare potenziali scienziati, all’ENEA di Frascati è stato portato avanti un progetto che ha dato risultati estremamente incoraggianti e che è stato temporaneamente interrotto solo a causa della pandemia.

Il progetto in questione è stato quello di utilizzare lo strumento dell’Alternanza Scuola Lavoro (ASL), oggi ridefinita ”Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento” (PCTO), per tramutare gli studenti degli ultimi anni di scuola secondaria superiore in veri e propri divulgatori scientifici durante le giornate dell’Open Day della Ricerca (ODR) che si sono tenute nel mese di settembre del 2017, 2018 e 2019 in concomitanza con la settimana della Notte Europea dei Ricercatori.

1 L’Open Day della Ricerca e la preparazione dei percorsi

L’evento Open Day della Ricerca prevede una giornata dedicata all’apertura dei Centri di Ricerca dell’ENEA alla popolazione, per mostrare cosa si fa, cosa si studia e come vive un ricercatore nel suo ambiente di lavoro. Durante gli Open Day, che si svolgono generalmente dal primo pomeriggio fino alla mezzanotte dell’ultimo venerdì di settembre, il Centro Ricerche di Frascati mette in moto una macchina che, nella giornata della manifestazione, coinvolge più di 50 tra ricercatori e tecnici, circa 20 persone dell’amministrazione e, nelle ultime edizioni, ha accolto più di 1000 visitatori esterni. All’interno del Centro gli ospiti possono visitare laboratori, assistere a seminari, vedere da vicino esperimenti scientifici e rivolgere le domande più bizzarre ai ricercatori.

Ma nelle ultime tre edizioni (2017-2019) gli ospiti hanno avuto una sorpresa in più: a parlare di scienza, di esperimenti e di nuove scoperte non sono stati solamente i ricercatori che fanno questo per lavoro. Dietro ai tavoli c’erano anche decine di studenti di Licei e Istituti Tecnici che, vincendo una timidezza iniziale, si sono dimostrati perfettamente in grado di sostenere l’impatto con persone desiderose di vedere e capire le meraviglie della scienza.

La definizione dei percorsi ASL ha richiesto una preparazione meticolosa e un supporto non indifferente sia da un punto di vista amministrativo che tecnico. Nel 2018, ad esempio, le scuole coinvolte sono state 9 (7 Licei Scientifici, 1 Liceo Classico e 1 Istituto Professionale Alberghiero) per un totale di 156 studenti, suddivisi in 17 punti visita (su 32 totali) che spaziavano dalla fusione nucleare alla fotogrammetria, dalla chimica in cucina alla fisica della musica e così via.

I contatti con gli Istituti scolastici e la preparazione della documentazione necessaria per lo svolgimento dei percorsi (convenzioni, progetti formativi, ...) si sono svolti durante l’estate, a partire dal mese di giugno. Le attività da svolgere nei vari percorsi differivano, ovviamente, in funzione del punto visita a cui facevano riferimento, ma in tutte si prevedeva che:
“... lo studente impegnato in questo percorso sarà istruito sul fenomeno fisico ... per poi essere in grado di esporlo ai visitatori in modo autonomo, pur rimanendo sempre affiancato da un ricercatore, durante l’Open Day della Ricerca”.

I soli studenti dell’Istituto Professionale Alberghiero non avevano un incarico di “divulgatori scientifici”, essendo il loro compito specifico quello di affiancare il personale ENEA che provvedeva all’accoglienza e allo smistamento dei visitatori, al controllo dell’afflusso nei vari punti visita e ad altre necessità di tipo logistico. Anche per questi studenti la giornata di ASL è stata quindi molto simile a ciò che gli stessi potrebbero fare in futuro nel corso della loro vita professionale. La simbiosi tra percorsi formativi di tipo scientifico e di tipo logistico si è rivelata proficua per uno svolgimento scorrevole dell’evento.

2 Lo svolgimento delle attività preparatorie

Una volta definite le attività da svolgere nei diversi percorsi ed effettuata l’assegnazione ai vari punti visita, gli studenti interessati dai percorsi ASL sono venuti nel Centro Ricerche di Frascati per tre giorni all’interno della settimana che si sarebbe conclusa con l’ODR.

Durante la prima giornata gli studenti hanno assistito a una presentazione in aula sulla struttura e sulle attività dell’ENEA in generale e del Centro Ricerche di Frascati in particolare, seguita da un seminario formativo incentrato sulle norme di sicurezza che caratterizzano l’ambiente di lavoro in cui si trovavano (fig. 1). I ragazzi, infatti, nonostante non fossero chiamati a svolgere una vera e propria attività lavorativa, dovevano tuttavia essere consapevoli, ad esempio, di come comportarsi in caso di incendio o chi avvisare in caso di un’emergenza. L’adeguata conoscenza delle norme di sicurezza e di comportamento in un ambiente di lavoro non va mai trascurata.

Concluso questo momento, i ragazzi sono stati divisi in gruppi e sono stati accompagnati in alcuni dei laboratori presenti nel Centro, tra cui quelli in cui si studia la fusione nucleare, la superconduttività, l’ottica e le tecnologie per la fotonica, tanto per fare alcuni esempi.

Durante il secondo giorno di presenza, gli studenti sono stati affidati ai rispettivi tutor ENEA ed hanno trascorso la mattina presso i punti visita dell’ODR, dove erano stati già allestiti i tavoli con il materiale da mostrare ai visitatori (vedi ad esempio la fig. 2). Nelle settimane precedenti erano state fornite agli studenti delle dispense, in modo da farli giungere preparati al momento in cui avrebbero visto da vicino le esperienze che poi avrebbero dovuto riprodurre e spiegare, con dovizia di particolari, agli ospiti dell’ODR. Alla teoria deve però seguire la pratica, quindi questa seconda giornata è stata dedicata sia a far capire come muoversi dietro al tavolo su cui erano esposti gli oggetti, i dispositivi e gli strumenti da utilizzare durante la mostra, sia per entrare nel dettaglio sugli argomenti trattati in quel determinato punto e chiarire gli inevitabili (e doverosi!) dubbi espressi dagli studenti. È stato dunque durante questa mattinata che gli studenti sono stati istruiti su come organizzare la presentazione dell’esperimento, come adattare il discorso a seconda della tipologia di visitatore che si ha davanti (potrebbe essere un bambino della scuola elementare, ma anche suo nonno!), come dosare le parole in modo da essere chiari, convincenti e accattivanti allo stesso tempo. Non tutti gli scienziati sono bravi divulgatori e non è necessario essere un premio Nobel per risultare coinvolgente e simultaneamente comprensibile al pubblico. L’esperienza dei ricercatori “divulgatori” dell’ENEA è stata determinante per mettere gli studenti nelle migliori condizioni per svolgere con successo il proprio compito.

Come ci si poteva aspettare, non tutti i ragazzi si sono comportati nello stesso modo. L’idea di passare una mattinata fuori dalle mura scolastiche porta naturalmente ad abbassare la concentrazione e ad essere meno attenti alle spiegazioni. La differente disposizione degli studenti nei confronti dei ricercatori, in questa seconda giornata, è risultata molto evidente: alcuni avevano perfettamente studiato le dispense ed erano ansiosi di mettere le mani sugli strumenti, altri pensavano semplicemente di passare una giornata di svago. Ma al momento dello scambio di ruoli (“Adesso io faccio il visitatore e tu, studente, mi spieghi quello che c’è su questo tavolo”) l’attenzione e la serietà diventava tangibile per tutti.

Lo studente, da soggetto passivo, diventava soggetto attivo: fino a quel momento era rimasto semplicemente a guardare, ora doveva diventare protagonista. E protagonista davanti a un pubblico sconosciuto, non davanti al solito professore o professoressa. A quel punto diventava importante la comprensione dell’esperimento, l’organizzazione del discorso, il movimento delle mani, lo sguardo, la convinzione nelle affermazioni e così via. E tutti, a quel punto, sono più o meno riusciti a entrare nel personaggio del “divulgatore”, anche se ancora non sapevano cosa avrebbero veramente sperimentato il venerdì successivo, terzo giorno del percorso di ASL, coincidente con l’ODR.

3 Il giorno dell’Open Day della Ricerca

La mattina del venerdì dedicato all’ODR è sempre, come per qualsiasi manifestazione che preveda l’arrivo di centinaia di persone, un momento di concitazione, sia tra i ricercatori che tra il personale tecnico ed amministrativo. Ci sono sempre da controllare e da riassestare diversi particolari, dalla sedia che manca al wi-fi che fa i capricci, dal proiettore che non si vuole accendere ai reagenti chimici che qualcuno ha dimenticato di portare.

In questo turbine di verifiche, aggiustamenti e ritrovamenti, la presenza degli studenti è un’ulteriore fonte di preoccupazione, in quanto si verifica spesso che, ad esempio, dei dieci studenti che dovevano presenziare una postazione, un paio non si presentino, un altro dica che deve andare via presto, un altro che non si sente tanto bene... Che sia normale o no, è una situazione che chiunque abbia a che fare con dei ragazzi sa che può accadere e rientra tra le tante variabili che vanno messe in conto prima e sistemate poi. Ma sempre prima che arrivino gli ospiti! Ed è stato sorprendente, per noi, constatare che, a fronte di coloro che hanno dato forfait all’ultimo minuto, i loro compagni di classe o di Istituto sono stati ben felici di sostituirli nelle presentazioni.

In ogni caso, nonostante un po’ di apprensione sulla performance dei ragazzi, le loro prestazioni si sono rivelate non solo di ottimo livello, ma sono risultate anche decisive per un paio di ragioni. Il primo motivo del successo dell’iniziativa, il più importante, lo abbiamo constatato sentendo le opinioni dei visitatori intervenuti alla manifestazione, tutti entusiasti di vedere diciottenni e diciannovenni vestire appassionatamente i panni dei ricercatori. Da parte nostra, abbiamo inoltre notato che avere a che fare con giovani divulgatori mette i visitatori molto di più a loro agio, anche nel rivolgere domande, rispetto all’interazione con ricercatori veri, con i quali il pubblico si sente mediamente più in soggezione. Il secondo motivo è quello relativo alla salute stessa dei ricercatori: svolgere un’attività di presentazione in uno stand per 7/8 ore consecutive, davanti a persone di ogni età e cultura, stando perennemente in piedi, parlando a voce alta (immaginate il rumore di fondo), cercando di mantenere viva l’attenzione, ma anche evitando che qualcuno possa involontariamente arrecare dei danni alle attrezzature in mostra, è particolarmente faticoso. Delegare uno studente a svolgere parte di questo lavoro, limitandosi ad intervenire qualora ci sia una domanda particolarmente insidiosa o per arricchire l’esposizione con qualche dettaglio, ci ha consentito di vivere quella giornata con maggior tranquillità.

Entrando nel dettaglio, lo svolgimento del compito dei “giovani divulgatori” si sviluppava come segue: all’arrivo di un gruppo di visitatori, il ricercatore illustrava brevemente le tematiche trattate in quel punto visita, dopo di che lasciava la parola allo studente assegnato a una specifica esperienza, il quale illustrava agli ospiti, per una decina di minuti circa, il proprio argomento e mostrava un piccolo esperimento a supporto delle sue affermazioni.

Su diverse decine di punti visita presenti nel Centro Ricerche, un buon numero riguardava la fisica, spaziando da argomenti generali di base (ottica, meccanica, elettromagnetismo, acustica, ecc.) a tematiche specialistiche proprie del lavoro del ricercatore coinvolto. Gli ospiti avevano infatti anche la possibilità di visitare gli impianti sperimentali relativi ai principali filoni di ricerca del Centro, come, ad esempio, il tokamak FTU (per gli studi sulla fusione nucleare a confinamento magnetico), con i suoi sistemi di robotica, controllo e diagnostica; l’impianto laser ABC (per gli studi sulla fusione nucleare a confinamento inerziale); il laboratorio di superconduttività e quello per gli studi su strutture resistenti al calore; l’impianto Proto-Sphera, per un’innovativa fusione a confinamento magnetico; le tecnologie laser e ottiche applicate allo studio dei materiali, ai beni culturali, all’anticontraffazione, alla fotonica; il Centro di Calcolo con il suo Museo dell’Informatica.

Gli autori del presente articolo avevano la responsabilità di due punti visita, uno piuttosto articolato denominato “Giocare con la luce”, che ospitava tavoli con diverse tematiche trattate, e uno più mirato, incentrato sulla Fisica della Musica.

Nel primo caso, il punto visita era composto da 5 postazioni, in cui venivano trattati i seguenti argomenti: ottica classica e ottica ondulatoria, strumenti ottici (dal microscopio al telescopio), il DNA (illustrato dalle colleghe biologhe), colori e polarizzazione della luce e infine illusioni ottiche. Il visitatore medio era costituito da famiglie con bambini, ma c’erano persone di ogni età. E trovarsi in un ambiente in cui la scienza la fa da padrona, avere come interlocutori studenti quasi o appena maggiorenni ha incuriosito, ha messo i visitatori più a loro agio, come dicevamo poc’anzi, e fatto apprezzare ancora di più la manifestazione.

La maggior parte dei ragazzi si è disimpegnata con disinvoltura, mentre in pochi, almeno all’inizio, hanno avuto una palese difficoltà nel condurre il dialogo con i visitatori. Difficoltà che nasceva, probabilmente, non solo dall’affrontare una situazione inconsueta, ma anche dal timore di non riuscire a padroneggiare completamente l’argomento di cui si parlava. Al contrario, alcuni non solo si sono perfettamente calati nel ruolo del ricercatore divulgatore, ma hanno fornito con sicurezza risposte alle domande che venivano loro rivolte. E possiamo assicurare che alcune domande, soprattutto quelle formulate dai più piccoli, non di rado mettono in difficoltà anche gli scienziati più esperti!

Entrando nel dettaglio, i ragazzi destinati ai tavoli riguardanti argomenti di Ottica, avevano il compito di illustrare i seguenti temi: la rifrazione della luce, il periscopio, la rotazione della polarizzazione, le illusioni ottiche.

Nel caso della rifrazione della luce, gli studenti dovevano illustrare il principio di base, cioè spiegare che quando la luce passa da un mezzo trasparente ad un altro può cambiare direzione, se l’angolo di incidenza non è perfettamente ortogonale alla superficie di separazione, fino ad arrivare al fenomeno della riflessione totale. E, da qui, spiegare, ad esempio, come funziona una lente d’ingrandimento oppure una fibra ottica, per finire con effetti speciali, facendo scomparire palline di gel trasparente in un bicchiere d’acqua (a causa della trascurabile differenza di indice di rifrazione).

Nella sezione degli strumenti ottici, i ragazzi spiegavano essenzialmente il fenomeno della riflessione della luce, applicando poi i suoi principi al funzionamento del periscopio, un oggetto semplicissimo, ma che ha catturato l’attenzione di moltissimi bambini, che hanno potuto sperimentarne il funzionamento.

Al tavolo in cui il tema era quello dei colori e della polarizzazione, ai giovani divulgatori è toccato l’arduo compito di illustrare quest’ultima, una caratteristica della luce a cui gli esseri umani non sono sensibili e che non è semplice da spiegare ai non addetti ai lavori. Di contrasto alla difficoltà dell’argomento, però, agli studenti coinvolti spettava anche il privilegio di mostrare un fenomeno di rara bellezza, il cui effetto è sorprendentemente scenografico. Di questo fenomeno parleremo più diffusamente nella prossima sezione.

Infine, gli studenti assegnati al tavolo delle illusioni ottiche erano forse coloro che, più degli altri, potevano vedere ripagati i propri sforzi, poiché questo argomento attira sempre molta curiosità e la permanente folla intorno al tavolo procurava loro una considerevole soddisfazione.

I ragazzi avevano in particolare il compito di illustrare la camera di Ames, un’illusione ottica che si basa su una stanza deformata, con pareti non perpendicolari e disegni prospetticamente alterati, che, però, se osservata da un opportuno punto di vista, appare perfettamente regolare. In una stanza del genere, accade che una stessa persona, a seconda della posizione in cui si trova, può apparire come un nano o un gigante, grazie appunto ad uno spettacolare effetto di illusione ottica.

Mentre nel punto visita “Giocare con la luce” il pubblico poteva entrare e uscire in ogni momento, nel punto visita denominato “Fisica della Musica” gli ingressi erano contingentati e a orari prefissati, in quanto vi si svolgeva una sorta di “lezione di musica” con associati singolari esperimenti, non facilmente ritrovabili nei vari Festival della Scienza in Italia e nel mondo. Data la specializzazione dell’argomento, che sfugge spesso all’intuito comune, e il breve tempo a disposizione, è stato richiesto all’Istituto scolastico coinvolto di selezionare per questo percorso ASL studenti che avessero almeno un’infarinatura di cultura musicale, possibilmente anche in grado di suonare uno strumento. Bisogna infatti tener presente che, nonostante la grande tradizione culturale musicale italiana e la presenza nel nostro sistema educativo di percorsi dedicati agli studi classici, con rare eccezioni (gli istituti coreutici) l’insegnamento della musica nella scuola va poco oltre quel minimo che viene svolto nelle scuole medie inferiori. Anche i licei classici e scientifici relegano la musica ad arte di seconda categoria, escludendola dai propri programmi educativi. Risulta quindi difficile esprimere concetti in un linguaggio che è estraneo a chi non abbia suonato, per sua passione, uno strumento musicale. Il concetto di intervallo, di ottava, l’armonia, gli accordi, sono, per chi non abbia studiato musica, concetti difficili da capire. Per questo motivo si è deciso di scegliere ragazzi che comprendessero questo linguaggio e che fossero in grado di “tradurlo” in termini comprensibili ai più, mediante esempi pratici ed esperimenti.

I sei studenti selezionati, dopo le spiegazioni del tutor, si sono divisi i compiti, occupandosi ciascuno di uno degli esperimenti specifici necessari alla comprensione dell’esposizione teorica. L’obiettivo era prima stupire per attirare l’attenzione dello spettatore e poi spiegare per comunicare. Per illustrare il diverso timbro degli strumenti è stato usato un analizzatore di spettro in grado di evidenziare, visivamente e acusticamente, come la diversa distribuzione delle armoniche “colori” il suono in maniera differente. I ragazzi hanno fatto vedere e sentire al pubblico, usando un oscilloscopio, la differenza tra il suono di una sinusoide pura e quello di uno strumento musicale. Hanno verificato, coinvolgendo il pubblico come cavia e utilizzando un generatore di frequenze tra 20 e 20000 Hz, che al crescere dell’età diminuisce la capacità di percepire le frequenze più elevate. Utilizzando i due canali del generatore di frequenze, hanno generato il famoso “terzo suono di Tartini”, suono inesistente da un punto di vista fisico, ma che viene percepito come risultato di un’interazione non lineare nel nostro sistema uditivo. Inoltre hanno mostrato sperimentalmente le armoniche su un filo teso, con i nodi che restano immobili, e hanno esteso questo concetto in due dimensioni tramite una lastra vibrante su cui era stato versato del sale, che si accumulava sulle linee nodali, disegnando delle affascinanti geometrie, variabili al variare della frequenza (vedi fig. 3).

Infine gli studenti hanno collaborato alla spiegazione di affascinanti fenomeni di psicoacustica, noti come “illusioni acustiche”. Come ad esempio la scala infinita di Shepard (usata empiricamente dai tempi di Bach fino agli effetti sonori in trasmissioni televisive di successo), l’illusione ritmica di Risset, l’illusione del tritono, quella della fondamentale mancante, e infine la stupefacente illusione del canto, passando per una serie di esperimenti che dimostrano che il nostro cervello elabora l’informazione musicale in zone differenti da quelle adibite all’elaborazione linguistica, cosa che conferma studi scientifici sulle interazioni tra tipi di linguaggio e orecchio assoluto.

Anche in questo punto visita gli studenti si sono dimostrati pienamente all’altezza della situazione, sia individualmente che lavorando di concerto con il ricercatore per quegli esperimenti in cui era necessaria l’interazione tra più soggetti. La soddisfazione dei ragazzi è stata accompagnata dalla analoga soddisfazione dei docenti tutor per l’opportunità concessa ai ragazzi e per l’entusiasmo che hanno potuto constatare nei propri alunni.

4 L’abbinamento Alternanza Scuola Lavoro e Open Day della Ricerca

Associare un percorso di Alternanza Scuola Lavoro ad una giornata dedicata alle visite nei Centri di Ricerca si è dimostrato valido sia per il contributo dato dai ragazzi ai ricercatori, sia per la funzione educativa che tale attività riveste nei confronti degli studenti delle scuole medie superiori.

Abbiamo cercato di andare oltre questo semplice binomio, facendo precedere l’evento di settembre da percorsi di ASL progettati ad hoc durante l’anno scolastico, finalizzati alla realizzazione di dispositivi da portare poi in mostra all’ODR. In pratica, piuttosto che dedicare semplicemente una o due giornate subito prima dell’ODR a spiegare agli studenti il funzionamento, ad esempio, del cannocchiale, abbiamo ritenuto utile creare un percorso di ASL apposito nel corso dell’anno scolastico antecedente, in cui gli studenti comprendessero il concetto di quello strumento ottico, ne padroneggiassero perfettamente la teoria, riuscissero a realizzarne un prototipo, con i mezzi che gli avremmo messo a disposizione, e potessero poi presentarlo ai visitatori il giorno dell’apertura al pubblico.

L’idea di far diventare gli studenti, in un primo momento, esperti di una tematica e realizzatori di un dimostratore e poi, in un secondo momento, divulgatori di ciò che loro stessi avevano studiato e su cui avevano lavorato, ci è sembrata ancora più formativa del semplice insegnar loro ad essere dei bravi espositori.

In queste pagine illustriamo uno dei risultati di questa scelta didattica, partendo da come il percorso è stato ideato, come si è svolto e quali risultati si sono ottenuti in sede di presentazione ai visitatori.

Essendo esperti di Ottica, abbiamo pensato di sfruttare una delle particolari caratteristiche della luce che è quasi sconosciuta tra i non addetti ai lavori, ovvero la polarizzazione, per far realizzare agli studenti un dispositivo che ne mostrasse un effetto di notevole impatto scenico. Gli esseri umani sono sostanzialmente insensibili alla polarizzazione della luce, proprietà che ci lascia quindi piuttosto indifferenti, ed è per questo che è stata studiata piuttosto recentemente, almeno rispetto al concetto di luce.

Per parlare di polarizzazione, abbiamo innanzitutto introdotto ai ragazzi il concetto di onda elettromagnetica elementare, con gli associati campi elettrico e magnetico, oscillanti in direzioni ortogonali tra loro e alla direzione di propagazione.

La polarizzazione di una singola onda è determinata dalla direzione di oscillazione del campo elettrico, mentre la polarizzazione di un fascio di tante onde elettromagnetiche, aventi singolarmente polarizzazioni diverse, può essere selezionata tramite opportuni materiali, detti filtri polarizzatori.

La polarizzazione non solo viene sfruttata dagli scienziati per esperimenti di fisica fondamentale, ma anche la tecnologia ha fatto, e continua a fare, largo uso di tale proprietà. Gli schermi a cristalli liquidi (LCD), ad esempio, si basano su questa caratteristica, come pure gli occhiali polarizzati, molto utili alla guida, e infine anche il mondo del cinema 3D si è giovato della polarizzazione della luce.

Tutti questi esempi applicativi vengono solitamente illustrati al pubblico nel corso dell’ODR e hanno su di esso un notevole impatto. Si può però andare oltre e realizzare un dimostratore molto spettacolare basato su un particolare comportamento della polarizzazione della luce quando attraversa specifici materiali che ne ruotano la direzione, sempre mantenendola nel piano perpendicolare alla direzione di propagazione. La possibilità di ruotare la polarizzazione ha delle interessanti conseguenze: infatti, se un raggio di luce polarizzato orizzontalmente, ad esempio, viene fatto passare attraverso un materiale che ne ruota la polarizzazione di 90 gradi (la quale diventa, pertanto, verticale), tale raggio verrebbe completamente assorbito da un filtro che lascia passare solo luce polarizzata orizzontalmente e oltre il filtro non si vedrebbe nulla (vedi fig. 4).

Riassumendo, ponendo in serie due polarizzatori che fanno passare solo la polarizzazione a un determinato angolo (uguale per entrambi), se tra i due polarizzatori si inserisce un materiale che ruota la polarizzazione di 90 gradi, dal secondo polarizzatore non esce nulla.

Fin qui avremmo semplicemente una sorta di “interruttore”: inserendo, o meno, il rotatore di polarizzatore, all’uscita del secondo polarizzatore otterremo buio o luce, rispettivamente.

L’effetto scenografico sfrutta, oltre a questo principio, anche quello per cui la comune plastica trasparente agisce come rotatore di polarizzazione, ma, e questa è la parte più accattivante, non ruota tutte le lunghezze d’onda dello stesso angolo. A causa della tecnica di realizzazione della plastica, degli stress residui del materiale e dei differenti spessori dei suoi punti, una luce bianca (quindi composta da tutte le lunghezze d’onda dello spettro visibile) polarizzata, che attraversa la plastica trasparente, può uscire in una data zona, ad esempio, con il rosso ruotato di 10 gradi ed il blu ruotato di 20 gradi. In una zona vicina, invece, potrebbe avvenire l’opposto.

A questo punto passiamo a descrivere com’è fatto il dimostratore che abbiamo realizzato con gli studenti. Esso si compone di un parallelepipedo di circa 40 × 40× 20h cm3, con tre lati completamente chiusi (pavimento, soffitto e una parete laterale), un quarto dotato di una feritoia richiudibile (l’altra parete laterale) e due lati contrapposti (parete sul retro e parete di fronte di 40 × 20 cm2) inizialmente aperti. In corrispondenza della parete sul retro abbiamo collocato una TV a cristalli liquidi, che mostrava il classico schermo bianco “a nebbia”, dovuto all’assenza del collegamento ad un’antenna analogica (nel caso dell’antenna digitale questo tipo di segnale non si vede). Ricordiamo che la luce emessa dallo schermo di un LCD è polarizzata linearmente. Nella parete opposta alla TV abbiamo inserito un grande polarizzatore lineare di forma circolare (circa 20 cm di diametro), ruotabile intorno al proprio asse, provvedendo poi a chiudere le aperture intorno ad esso. La fig. 5 mostra uno schema di questo apparato.

Con la feritoia laterale completamente chiusa, la luce emessa dalla TV può quindi essere vista esclusivamente attraverso il polarizzatore circolare, che costituisce il punto di vista dell’osservatore. Se quest’ultimo è ruotato in modo tale da selezionare la direzione di polarizzazione della luce della TV, si vede il segnale, ma se invece è ruotato di 90 gradi rispetto ad essa, il box appare completamente buio. Il polarizzatore veniva lasciato in quest’ultima posizione, in modo tale che lo spettatore non avesse cognizione del fatto che all’interno del contenitore fosse presente una sorgente luminosa: l’interno della scatola era in oscurità completa.

A questo punto, venivano inseriti attraverso la feritoia laterale degli oggetti di plastica trasparente, come bicchieri o anche nastro adesivo incollato su vetro. La luce polarizzata emessa dallo schermo TV, attraversando questi oggetti subiva la rotazione della polarizzazione, diversa per i vari colori dello spettro visibile e variabile a seconda delle caratteristiche dei materiali attraversati. Pertanto, chi avesse osservato l’interno del box attraverso il polarizzatore, avrebbe visto, come per magia, oggetti e forme apparire e illuminarsi di tanti colori diversi, in quanto ogni punto della plastica avrebbe ruotato diversamente le varie lunghezze d’onda, che avrebbero quindi attraversato, con maggiore o minore efficacia, il polarizzatore d’uscita. E l’effetto “nebbia” della TV contribuiva al risultato scenico, grazie al gioco della variazione della luminosità spaziale e temporale.

Nelle fig. 6 e fig. 7 sono proposti alcuni momenti nel corso della realizzazione del box, in occasione del percorso di Alternanza Scuola Lavoro durato circa una settimana. Il box completato, inserito tra le “new entry” dell’ODR del 2018, è visibile sul secondo tavolo da destra nella fig. 2. È inutile dire che l’effetto suscitato dall’apparato costruito dagli studenti ha avuto un notevole successo tra i visitatori. La presenza e le spiegazioni degli stessi studenti che avevano preso parte alla sua realizzazione ha di sicuro contribuito all’apprezzamento da parte degli ospiti del Centro Ricerche.

5 Conclusioni

Negli ultimi 20 anni le Università e gli Enti Pubblici di Ricerca hanno dedicato una parte sempre crescente del proprio personale e del proprio tempo ad attività di divulgazione scientifica. C’è infatti, da un lato, l’esigenza di far partecipe la società delle attività e dei risultati nel campo della ricerca, dall’altro di suscitare interesse nei giovani in particolare nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).

Il Centro Ricerche ENEA di Frascati, così come altri Centri di Ricerca dell’ENEA, è attivo nella divulgazione scientifica da oltre 30 anni, sia aprendo le proprie porte per visite guidate a scuole e pubblico generico, sia partecipando ad eventi di outreach in altre sedi.

Gli studenti che si recano presso i nostri laboratori per svolgere le attività dei PCTO hanno modo di mettere in campo le loro capacità di comprensione e ragionamento sui fenomeni che vengono loro mostrati. Il loro coinvolgimento diventa però totale se devono a loro volta trasformarsi in divulgatori. In questo caso la necessità di comprendere appieno i principi fisici e le loro conseguenze negli esperimenti da illustrare è pressante e di pari passo cresce il loro interesse nella scoperta.

Una volta che i ragazzi padroneggiano l’argomento scientifico che viene loro affidato e vengono inseriti in un evento divulgativo con l’incarico di esporlo al pubblico, la loro interazione con i visitatori è molto produttiva, anche perché molti interlocutori, soprattutto tra i giovani, hanno con loro un approccio più diretto e meno formale di quello che avrebbero con noi ricercatori.