Nanofibre polimeriche

Nuovi materiali per le Nanoscienze e le Nanotecnologie

Dario Pisignano, Luana Persano, Andrea Camposeo


1 Introduzione

Lo sviluppo di nuove classi di nanoparticelle e di materiali basati su di esse ha tradizionalmente costituito una delle attività prevalenti nell’ambito della nanotecnologia. I casi di successo negli ultimi trent’anni sono stati numerosi, spaziando dai nanosistemi fondati su fullereni e nanotubi di carbonio, ai materiali semiconduttori incorporanti quantum dots cresciuti per via epitassiale, ai nanocristalli colloidali basati su sistemi inorganici, fino al recente sviluppo del grafene e di altri materiali bidimensionali. Oggi le tecnologie alla base della realizzazione di nuovi materiali, adoperando con sempre maggiore frequenza sistemi molecolari di provenienza o di ispirazione biologica, stanno mutuando numerosi concetti provenienti dalla Fisica della cosiddetta Soft Matter. Vengono così sfruttati fenomeni in cui le diverse componenti molecolari si rapportano tra loro mediante interazioni relativamente deboli, ossia caratterizzate da scale di energia confrontabili con l’energia termica a disposizione (2,5 centesimi di electronVolt a temperatura ambiente). Il mondo delle nanoparticelle si arricchisce così in modo sostanziale, acquisendo versatilità e possibilità di interfacciarsi più efficacemente con i sistemi molecolari e biologici. Vengono potenziate tecniche di nanofabbricazione nell’ambito delle quali la Chimica, la Fisica della Materia e l’Ingegneria dei Materiali si fertilizzano vicendevolmente, impiegando o promuovendo, ai fini della progettazione, della produzione e dell’utilizzo di nuove nanostrutture, meccanismi quali l’autoassemblaggio molecolare, i fenomeni di capillarità di liquidi a nanoscala, la capacità di riconoscimento chimico altamente specifica che è tipica dei sistemi biologici, la flessibilità delle configurazioni supramolecolari e la loro adattabilità ad uno stimolo esterno (ottico, elettrico, chimico, ecc.). Combinate in modo opportuno, queste nuove specie di nanostrutture possono poi dare forma a veri e propri materiali dalle caratteristiche innovative, che trovano impiego in numerosi settori produttivi.

Le nanofibre polimeriche sono una classe emergente di nanostrutture, nelle cui metodologie di produzione e nel cui funzionamento all’interno di materiali complessi trovano posto molti di questi concetti. Si tratta di filamenti di materiale organico, aventi dimensione trasversale inferiore a 100 nanometri e lunghezza tipicamente variabile dalle decine di micrometri fino a valori che si sarebbe portati a giudicare impensabili per delle nanostrutture (ad esempio, chilometri). Nella maggior parte dei casi, le tecnologie sviluppate per realizzare fibre così sottili procedono mediante assemblaggio bottom-up, ossia favorendo l’organizzazione, spontanea o promossa per tramite di vari possibili meccanismi, delle macromolecole polimeriche in filamenti. Grazie alla loro estrema flessibilità strutturale, alla varietà di composti che possono essere impiegati per generarle o incorporati al loro interno, ed alle proprietà fisiche che derivano dalla particolare conformazione che le macromolecole adottano nelle nanofibre, queste strutture stanno acquisendo un ruolo sempre più rilevante in svariate applicazioni, dalla fotonica alla biomedicina, dall’ingegneria tissutale ai materiali filtranti, e per la generazione e l’immagazzinamento di energia. In tutti i casi, le nanofibre polimeriche possono essere realizzate con metodi che presentano bassi costi, ed in alcuni casi con produttività enormemente maggiori di quelle tipiche delle tecniche di sintesi di altre tipologie di nanoparticelle. Di conseguenza, la possibilità di scalarne in modo agevole la produzione a livello pre-industriale ed industriale, aspetto rilevante ai fini delle applicazioni che ne risultano enormemente facilitate, ha portato negli ultimi anni al lancio di numerose start-up focalizzate sullo sviluppo di nuovi prodotti basati su nanofibre, o sulla commercializzazione dei relativi apparati di produzione.

2 Tecnologie di produzione

I metodi messi a punto negli ultimi anni per realizzare nanofibre polimeriche sono diversi. Possono venire impiegati approcci che sfruttano l’autoassemblaggio (self-assembly) molecolare, i fenomeni di capillarità, spontanea o indotta, la polimerizzazione di composti in presenza di una interfaccia tra liquidi immiscibili, processi di separazione di fase, o il comportamento complesso di getti di soluzioni polimeriche elettrificati. In generale, la scelta della tecnica più opportuna dipende strettamente dalle caratteristiche morfologiche e composizionali dei filamenti che si vogliono ottenere, e dalla applicazione ultima cui il materiale va indirizzato. Per la loro versatilità ed efficacia, molti di questi approcci sono oggi tra gli esempi più eleganti di metodi di fabbricazione presenti nell’ampio panorama delle nanotecnologie.

I processi di self-assembly sono ampiamenti presenti in natura, regolando la configurazione complessiva assunta da insiemi di componenti fisici che interagiscono sulle più varie scale di lunghezza. Per alcune specie di polimeri, strutture in forma di nanofibre possono autoassemblarsi in seguito alla precipitazione dei composti da solventi che sono scarsamente in grado di dissolverli. Ad esempio, la solubilità può essere accettabile a temperatura abbastanza alta, mentre può essere sufficiente un raffreddamento del sistema per innescare la formazione di nanofibre solide laddove le catene polimeriche tendono a rendere minima l’estensione, energeticamente sfavorevole, delle regioni di interazione tra di esse e le molecole del solvente circostanti. Questo meccanismo, denominato solvofobicità, è stato, ad esempio, ampiamente studiato per la realizzazione di nanofibre di politiofene, un composto coniugato impiegato come materiale semiconduttore nei transistor ad effetto di campo organici. Una operazione che favorisce l’autoassemblaggio delle molecole in nanofibre è inoltre la deposizione di una certa quantità di soluzione su una superficie solida, seguita dall’evaporazione del solvente. Le strutture formate in questo modo possono essere estremamente sottili (anche pochi nanometri), e presentano generalmente lunghezza abbastanza limitata, dell’ordine di alcuni micron. Per questi motivi, questo metodo è stato largamente impiegato per ottenere nanofibre conduttrici, come nel caso del politiofene, che potessero essere inserite con buona efficacia all’interno di dispositivi elettronici. Altri metodi, anziché usufruire dell’assemblaggio supramolecolare, consentono di ottenere nanofibre direttamente a partire da reazioni chimiche che coinvolgono unità più piccole come reagenti, come nel caso della polimerizzazione ossidativa dell’anilina. In tal caso, i monomeri vengono fatti reagire in presenza di un agente ossidante e di un acido forte, e la polianilina prodotta, essendo insolubile, dà luogo a depositi che possono comprendere nanofibre con varia morfologia.

Un approccio differente consiste nel generare le fibre mediante “stampi” di vario tipo. Ad esempio, le soluzioni polimeriche possono essere fatte penetrare all’interno di canali dalle dimensioni trasversali inferiori ai 100 nanometri, fabbricati per via litografica ed opportunamente trattati in modo da favorirne la bagnabilità, ossia l’interazione delle superfici con il fluido e dunque il riempimento capillare. In tal modo si dà luogo alla formazione di nanofibre a seguito dell’evaporazione del solvente dai nanocapillari. Con le tecniche nanofluidiche, la posizione delle singole nanostrutture può essere controllata con grande accuratezza, essendo predeterminata in fase di progettazione delle superfici capillari, ma le quantità di fibre prodotte è limitata dagli stampi litografici ed in genere molto ridotta. Un miglioramento in tal senso può ottenersi usando come stampi delle membrane porose in allumina o in policarbonato, ampiamente disponibili sul mercato, che presentano un’altissima densità di fori cilindrici uniformi (fino a 1011 pori per centimetro quadro).

Ciascuno di questi fori, del diametro caratteristico che può raggiungere pochi nanometri, può essere permeato di materiale organico per generare nanofibre. In tal modo le reazioni di polimerizzazione, promosse per via ossidativa o elettrochimica, avvengono direttamente in un volume di reazione estremamente ridotto e tale da influenzare il comportamento diffusivo su scala molecolare, ossia nell’ambiente confinato costituito dai nanopori. Le pareti dei fori, inoltre, offrono un substrato utile per l’adsorbimento dei monomeri dalla fase liquida o da vapore, influenzando a loro volta il meccanismo di polimerizzazione nei pressi dell’interfaccia. In alternativa a reazioni di polimerizzazione in ambiente confinato, il polimero di interesse già in forma di macromolecola può essere portato a temperature superiori a quella di transizione vetrosa, ed il fluido risultante può essere sagomato nei nanopori in seguito ad infiltrazione. Una volta ottenute le fibre, lo “stampo” può essere rimosso mediante solventi che agiscono selettivamente sulla membrana, consentendo di ottenere un nanomateriale sbloccato e direttamente utilizzabile. Le tecniche basate su membrane sono state applicate con successo per la realizzazione di nanofibre con un’ampia varietà di polimeri, sia termoplastici come il polistirene o il polimetilmetacrilato, sia conduttori o emettitori di luce come il polipirrolo, la polianilina, il polifluorene. Tuttavia, i processi di autoassemblaggio o di sintesi presentano limiti intriseci che tuttora non consentono di aumentare la quantità delle fibre prodotte, così da renderle utilizzabili per applicazioni su vasta scala, o di raggiungere un buon controllo della collocazione delle singole nanostrutture o del loro posizionamento relativo (ad esempio, renderle allineate).

La tecnologia che attualmente sta contribuendo maggiormente allo sviluppo di nuovi materiali basati su nanofibre polimeriche, consentendo di superare alcune di queste limitazioni, è senz’altro quella dell’elettrofilatura o spinning elettrostatico o electrospinning. La storia dell’electrospinning è quella tipica di una ri-scoperta scientifica. Dopo una lunga serie di studi di nicchia e di brevetti relativi alla possibilità di produrre materiali fibrosi mediante l’applicazione di campi elettrici su fluidi, inanellati negli anni dal 1902 al 1966, sono stati infine i lavori pubblicati dal gruppo di Darrel Reneker dell’Università di Akron a partire dal 1995-1996 a suscitare un grande interesse verso questo approccio, in concomitanza al vigoroso sviluppo delle nanotecnologie registrato in quel periodo. Nel processo di elettrofilatura, viene dapprima preparata una soluzione del polimero di interesse, che deve essere sufficientemente concentrata ed esibire buone proprietà di viscoelasticità. In altri termini, le molecole polimeriche in soluzione devono essere sufficientemente lunghe e complesse in quanto a struttura, e ad una concentrazione tale da presentare una buona quantità di nodi topologici a nanoscala. La soluzione viene poi estrusa per mezzo di siringhe dotate di aghi metallici, con flussi minimi (ad esempio, microlitri al minuto) ed altamente controllati che vengono generalmente garantiti da sistemi di pompaggio automatici. In tal modo, all’estremità dell’ago viene presto a formarsi un accumulo di fluido, ossia una micro-goccia, sul quale vengono ad agire forze contrastanti. Da un lato la viscoelasticità della soluzione e la tensione superficiale tendono a stabilizzare la goccia, dall’altro le cariche elettriche accumulate sulla superficie esterna del fluido in conseguenza dell’applicazione di un campo elettrico esterno, tutte dello stesso segno, tendono naturalmente a deformarla a causa della repulsione coulombiana tra di esse. All’aumentare del campo elettrico, correlato alla differenza di potenziale (2–100 kV) applicata tra l’ago ed una superficie metallica posta ad una certa distanza, l’accumulo di fluido si deforma progressivamente definendo il cosiddetto cono di Taylor al proprio apice, ed infine la repulsione coulombiana prevale consentendo di espellere un getto carico di soluzione polimerica. Tale getto, dirigendosi verso la superficie metallica, subisce una violenta accelerazione (fino a centinaia di metri/s2) che contribuisce a “stirare” le molecole polimeriche nella stessa direzione. Inoltre, la repulsione tra le cariche elettriche in esso presenti continua ad agire a seguito dell’estrusione, determinando l’insorgere di instabilità di vario tipo lungo la traiettoria del getto. Il percorso della soluzione in volo non è dunque rettilineo e stabile, ma ricco di cambi di direzione e movimenti flettenti. Al contempo, il solvente evapora rapidamente dal getto. Entrambi i meccanismi (stretching ed evaporazione del solvente) contribuiscono perciò a ridurre enormemente il diametro del getto durante il suo rapido volo tra l’ago metallico e la superficie di raccolta, fino a quattro ordini di grandezza in un tempo di pochi centisecondi. Il risultato è la deposizione di nanofibre polimeriche solide sulla superficie metallica, che viene ricoperta dai filamenti in una configurazione altamente disordinata come mostrato in fig. 1. Anzi, se il getto non presenta interruzioni, è un unico filamento lunghissimo ad essere depositato, che piegandosi su se stesso dà luogo ad una fitta ricopertura della superficie e successivamente a strati sovrapposti. Il processo è affascinante per i suoi aspetti fisici, a cui contribuiscono fluidodinamica, elettrostatica, proprietà reologiche, interazione polimero-solvente, che lo rendono particolarmente complesso nel suo insieme. Per questo motivo, ad esempio, ancora oggi non sono disponibili modelli che descrivano l’elettrofilatura con pieno potere predittivo nei confronti delle nanostrutture che possono essere realizzate a partire da specifiche scelte dei molteplici parametri di processo (campo elettrico applicato, geometrie, proprietà di conducibilità e viscosità della soluzione, ecc.). Per converso, le procedure sperimentali sono relativamente semplici da implementare, e gli apparati generalmente poco costosi. Soprattutto, il processo di elettrofilatura si è dimostrato ampiamente versatile e tale da poter essere applicato a materiali polimerici (ed anche ceramici) molto vari, e presenta una produttività molto alta paragonata alle altre tecniche di produzione di nanoparticelle, consentendo dunque di produrre nanomateriali per una ampia gamma di possibili applicazioni che necessitano di quantità rilevanti di fibre (filtrazione, ingegneria tissutale, capi di vestiario intelligenti, ecc.). Mediante electrospinning, possono essere realizzati agevolmente alcune decine di grammi di nanofibre al giorno per mezzo di processi di produzione continui eseguiti in laboratorio, mentre i tassi di produzione su scala pre-industriale consentono ricoperture dell’ordine di alcune migliaia di metri quadri al giorno.

3 Applicazioni

Come per le altre classi di nanoparticelle, il vantaggio intrinseco offerto da filamenti di materiale organico con diametro inferiore a 100 nm risiede nell’altissima superficie per unità di volume o di massa (fino a decine o centinaia di metri quadri per grammo di materiale). In matasse disordinate di nanofibre altamente intersecate tra loro, questa proprietà generale si somma con caratteristiche uniche del materiale prodotto in termini di estensione complessiva (con aree delle matasse che, su scala di laboratorio, possono raggiungere alcuni metri quadri una volta che i processi produttivi siano stati opportunamente ottimizzati) e di robustezza meccanica e flessibilità. È dunque possibile generare materiali nanostrutturati “macroscopici”, agevolmente maneggiabili, con i quali possono essere rivestite superfici, oppure che possono essere impiegati in forma free-standing ove richiesto dalle applicazioni. Questi nanomateriali fibrosi stanno dunque mettendo in contatto comunità scientifiche differenti, poiché possono essere indirizzati all’interazione con costituenti fisici molto diversi tra loro, accomunati dal presentare dinamiche di diffusione complesse attraverso il materiale o sulla sua superficie: fluidi (filtrazione, purificazione delle acque, catalisi, rivestimenti con proprietà di bagnabilità controllate), luce (fotonica disordinata, random lasing), atmosfera circostante (rilascio di feromoni per lotta biologica in agricoltura, sviluppo di materiali altamente traspiranti), cellule viventi (ingegneria tissutale, rilascio di farmaci, promozione della guarigione di ferite). Un ulteriore valore aggiunto viene conferito alle nanofibre polimeriche dall’allineamento prevalente delle catene molecolari lungo l’asse longitudinale del filamento, che viene generalmente promosso direttamente durante il processo di fabbricazione. Questo meccanismo può condurre a proprietà fisiche fortemente anisotrope a livello di singola nanofibra, con conseguenze che possono spaziare, a seconda del polimero in esame, dall’emissione di luce polarizzata, all’incremento della conducibilità elettrica lungo l’asse, all’aumento della rigidità meccanica del filamento, fino all’ottenimento di specifiche fasi cristalline come quelle che determinano la piezoelettricità in alcuni materiali organici. Infine, va ricordato che la composizione chimica e la struttura interna delle nanofibre possono essere ampiamente variate, ad esempio ricorrendo a miscele di polimeri differenti, a composti chimici a basso peso molecolare, a nanocristalli colloidali, nanotubi di carbonio, cristalli bidimensionali e così via, che possono essere incorporati all’interno di matrici polimeriche durante il processo di fabbricazione allo scopo di ottenere filamenti nanocompositi e di conseguenza specifiche proprietà chimico-fisiche. Nel seguito scorriamo brevemente alcuni campi di impiego delle nanofibre polimeriche che rivestono particolare interesse quali esempi di fisica applicata allo sviluppo di nuove tecnologie.

Filtrazione e catalisi. Lo sviluppo di materiali ad alte prestazioni per la filtrazione e la purificazione di liquidi e gas è stato il primo settore industriale a sperimentare l’applicazione delle nanofibre polimeriche, addirittura nei tardi anni Trenta del secolo scorso. Presso il Karpov Institute in Unione Sovietica, Petryanov-Sokolov, Rosenblum e Fuchs svilupparono l’idea di immettere nanofibre elettrofilate all’interno di materiali filtranti, pensati come componenti di maschere antigas ed oggi noti appunto come filtri di Petryanov. Negli anni Sessanta, venivano riportate produzioni di 20 milioni di metri quadri di fibre elettrofilate per anno. Oggi numerose aziende, incluse alcune multinazionali, sono attive nella produzione di elementi filtranti che contengono materiali nanofibrosi. È stato possibile dimostrare che al decrescere del diametro delle fibre di cui sono costituiti i filtri, la rimozione di contaminanti e particolato da un fluido acquisisce maggiore efficienza, così come diminuisce la dimensione minima delle particelle che possono essere catturate. Relativamente alla decontaminazione delle acque, la possibilità di ingegnerizzare la composizione delle fibre, fino al limite di incorporare cellule o batteri al loro interno, sta aprendo la strada a nuovi concetti di biorisanamento. In questi sistemi ibridi, infatti, il potere filtrante del materiale fibroso, che si basa sull’intercettare la traiettoria delle particelle in sospensione o sull’intrappolarle a seguito di diffusione nel mezzo liquido, è affiancato dall’estrazione di inquinanti reso possibile dall’attività metabolica dei batteri incapsulati nella matrice polimerica. Il trattamento decontaminante delle acque può in tal modo essere condotto in modo più completo.

Le nanofibre polimeriche possono inoltre essere utilizzate per trasportare catalizzatori all’interno di liquidi o gas dove sono presenti reagenti di interesse. Gli agenti catalitici possono essere rilasciati gradualmente nel fluido circostante, avendo modo poi di esplicare la propria funzione direttamente nella fase liquida o gassosa (catalisi omogenea), oppure possono essere ancorati alle nanofibre in maniera stabile, influenzando il comportamento dei reagenti presenti nel fluido pur senza disciogliersi in quest’ultimo (catalisi eterogena). Nei filamenti organici possono essere incorporati enzimi, particelle con attività catalitica (palladio, platino, ecc.), o catalizzatori molecolari. Le nanofibre poi, se opportunamente ingegnerizzate (ad esempio mediante l’inclusione di nanoparticelle magnetiche), possono essere agevolmente recuperate dal fluido per un più efficace riutilizzo.

Fotonica. La realizzazione di nanofibre ad emissione di luce come quella mostrata in fig. 2 può essere effettuata mediante inserzione di emettitori organici a basso peso molecolare o di nanocristalli semiconduttori all’interno di matrici polimeriche otticamente inerti, ottenendo così miscele dalle quali vengono prodotti i filamenti, oppure impiegando direttamente polimeri coniugati (ad esempio i derivati solubili del polifenilene vinilene e del polifluorene). In quest’ultimo caso, sono gli stessi materiali polimerici ad emettere luce, e le nanofibre da essi generate ereditano chiaramente la stessa proprietà. Le molecole coniugate sono oggi ampiamente impiegate all’interno della componentistica display presente nell’elettronica di consumo (dalle televisioni a schermo piatto agli smart phones), ma la realizzazione di nanostrutture ad emissione di luce basate su questa classe di composti è stata perseguita solo recentemente. Oltre agli aspetti strettamente legati alla miniaturizzazione, ottenere sorgenti di luce basate su nanofibre polimeriche comporta una serie di vantaggi. Innanzitutto, come precedentemente accennato, l’orientamento delle macromolecole che spesso viene osservato durante i processi produttivi di questi materiali fa sì che dalle nanofibre composte di polimeri coniugati possa essere ottenuta luce polarizzata. Questo aspetto è particolarmente utile per impiegare le nanofibre come sorgente di fotoni all’interno di dispositivi microfluidici, biodiagnostici, o di sensori: la componente di luce polarizzata, una volta sfruttata (ad esempio, per l’eccitazione di altri cromofori, o di anticorpi con marker fluorescenti), può essere rimossa molto facilmente mediante filtri polarizzatori opportunamente orientati. Tale operazione consente agli apparati di rilevazione di misurare i segnali di interesse provenienti dai campioni molto più agevolmente, aumentando notevolmente il rapporto segnalerumore ottenibile negli esperimenti di microscopia in fluorescenza o immunofluorescenza. Un aspetto altrettanto rilevante è che la luce emessa da molecole o nanocristalli inseriti nelle fibre è almeno in parte guidata lungo la stessa fibra. In altre parole, ciascun filamento nanostrutturato funge da guida d’onda nei confronti della radiazione emessa, consentendo di trasportare l’informazione ad essa associata ad una certa distanza dal punto in cui viene generata. I valori dei coefficienti che esprimono le perdite di trasmissione sono considerevoli (generalmente superiori a 100 cm–1, corrispondenti a circa 0,05 decibel per micron) dato che si tratta di fibre ottiche sub-wavelength, ossia con diametro inferiore rispetto alla lunghezza d’onda della luce che viene trasportata. Tuttavia, il trasporto del segnale, osservato lungo alcune centinaia di micron, è sufficiente per consentire la costruzione di circuiti ottici miniaturizzati operanti nel visibile e nel vicino infrarosso. Uno studio recente ha mostrato la generazione di singoli fotoni da nanocristalli di CdSeTe isolati ed incorporati nelle nanofibre, e il loro conseguente accoppiamento al modo ottico fondamentale guidato dalle stesse fibre (fig. 3), con efficienze che si avvicinano a quelle massime stimate teoricamente, una prospettiva di particolare interesse nel quadro del prossimo programma europeo sulle tecnologie quantistiche.

Altri componenti che sono già stati realizzati mediante nanofibre ad emissione di luce includono dispositivi elettroluminescenti, nuovi congegni per la tecnoilluminazione, e laser a pompaggio ottico in configurazioni variabili dal singolo filamento a sistemi più complessi. In effetti, un ultimo punto di notevole interesse e di recente sviluppo risiede nella possibilità di sfruttare insiemi costituiti da molte nanofibre ad emissione di luce, in configurazioni disordinate. Nell’ambito del progetto “NANO-JETS” finanziato dall’European Research Council e condotto presso il Dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi” dell’Università del Salento e l’Istituto Nanoscienze del CNR (www.nanojets.eu), la tecnologia dell’electrospinning è stata indirizzata all’ottenimento di nuovi materiali per la fotonica disordinata, un settore innovativo che studia i processi di diffusione della luce in sistemi microscopicamente non omogenei (aggregati di nanoparticelle, sistemi colloidali, tessuti biologici, polimeri e nanocompositi) e come questi ultimi possano essere impiegati in nuovi componenti ottici. Le nanofibre ad emissione di luce, ove siano dotate di guadagno ottico, posizionate all’interno delle strutture disordinate che sono ottenute in modo naturale mediante electrospinning, possono mostrare particolari effetti in relazione alle loro proprietà di trasporto della luce, che includono la cosiddetta retrodiffusione coerente ed il random lasing. Si tratta dunque di una piattaforma di studio che può divenire molto utile nell’ambito della moderna fotonica.

Elettronica. L’aumento dell’ordine molecolare all’interno delle nanofibre, applicato al caso dei polimeri semiconduttori, ha un effetto sulle proprietà di conduzione elettrica di queste nanostrutture. Per una varietà di composti polimerici, la conducibilità dei portatori di carica (lacune ed elettroni) nelle nanofibre è, a parità di molecole impiegate, maggiore rispetto a quella dei film che vengono usualmente impiegati nei transistor organici e nei quali il grado di disordine molecolare è generalmente più alto. Osservazioni di questo genere sono state effettuate sul polipirrolo, sulla polianilina e sul politiofene. I dispositivi finora dimostrati con nanofibre basate su polimeri conduttori includono, oltre a transistor a effetto di campo, diodi Schottky, componenti di memorie, dispositivi logici, fototransistor, dispositivi elettrochimici per l’immagazzinamento di energia, e varie classi di sensori. Le mobilità elettriche misurate per le lacune all’interno di nanofibre hanno raggiunto, con particolari composti, valori superiori a 5 cm2/ V s, tra i più alti registrati per i polimeri conduttori. Le nanofibre si dimostrano inoltre mezzi attivi potenzialmente utili per lo sviluppo dell’elettronica flessibile, e dunque per l’integrazione dei componenti elettronici in sistemi di varia forma, superfici curve, e smart wearables.

Nanogeneratori di energia. L’aggregazione di molecole di polimeri piezoelettrici in forma di nanofibre favorisce, oltre all’allineamento molecolare, l’ottenimento delle particolari fasi cristalline che inducono la capacità di questi materiali di polarizzarsi e dunque di generare una differenza di potenziale tra due suoi punti a seguito di una deformazione (cosiddetto effetto piezoelettrico diretto). In tal modo determinati polimeri, come il polivinilidenfluoruro, (CH2CF2)n, ed alcuni suoi derivati, consentono di produrre energia elettrica a partire da minuti movimenti meccanici e vibrazioni presenti nell’ambiente, mediante dispositivi estremamente semplici che includono poco più di un substrato flessibile su cui depositare le nanofibre e degli elettrodi metallici depositati su di esse per connetterle e prelevarne il segnale elettrico. Un esempio di questi dispositivi è illustrato in fig. 4. In aggiunta, le nanofibre prodotte mediante electrospinning a partire da questi composti possono mostrare proprietà piezoelettriche senza necessità dei processi supplementari che vengono normalmente condotti nei materiali in film per indurre l’orientamento molecolare e dunque il comportamento piezoelettrico, e che consistono nell’applicazione di campi elettrici molto intensi (poling). Questo aspetto semplifica ulteriormente la realizzazione dei nanogeneratori. Piegamenti di alcuni millimetri sono sufficienti per generare differenze di potenziale dell’ordine del volt all’estremità delle nanofibre. Le applicazioni di questa tecnologia sono numerosissime: sensori che sfruttano la risposta elettrica a seguito di compressione delle nanofibre, e che consentono la misurazione accurata di pressioni estremamente ridotte (0.1 Pa), accelerometri, rivelatori di vibrazioni e spostamento altamente sensibili, ed in prospettiva dispositivi in grado di raccogliere una parte dell’energia meccanica naturalmente prodotta all’interno o sulla superficie del corpo umano per convertirla in forma utilizzabile per alimentare dispositivi che si interfacciano con l’organismo, come i pacemaker ed i sensori biometrici.

Biotecnologie ed ingegneria tissutale. Le applicazioni in ambito biomedico sono quelle dove il potenziale tecnologico delle nanofibre polimeriche è stato al momento maggiormente dispiegato. Queste nanostrutture infatti, per la loro stessa conformazione geometrica e per le loro dimensioni, mimano in modo accurato le architetture presenti in natura a supporto strutturale e biochimico delle cellule, ossia le matrici extracellulari, che per gran parte sono composte da molecole proteiche (collagene, laminina, fibronectina, ecc.) appunto sotto forma di fibrille. Interfacciare le nanofibre polimeriche prodotte artificialmente con le cellule viventi è stato quindi uno sbocco immediato, che ha dato luogo alla possibilità di utilizzare in modo molto efficace questi nuovi materiali come scaffold, ossia come impalcature per l’adesione, la crescita, la migrazione, ed eventualmente l’indirizzamento funzionale delle cellule nell’ambito dell’ingegneria tissutale. I substrati costituiti da nanofibre di polimeri biocompatibili, in effetti, presentano tra gli altri il vantaggio di essere agevolmente maneggiabili dagli operatori dei laboratori di biomedicina, perché di area sufficientemente estesa (anche molti centimetri quadri) e dalla sufficiente robustezza meccanica. Tra i composti impiegabili a questo fine vi sono sia molecole di derivazione naturale, come l’acido ialuronico (presente nei tessuti connettivi dei mammiferi), la cellulosa (polisaccaride prevalentemente di origine vegetale), il fibrinogeno (glicoproteina del plasma), la chitina (componente dell’esoscheletro degli insetti), la fibroina della seta ed il collagene, sia polimeri biocompatibili ed eventualmente biodegradabili sintetizzati artificialmente. Inoltre, le reti di nanofibre possono essere adeguatamente ingegnerizzate a livello microscopico, scegliendo opportunamente solventi, polimeri impiegati, e parametri dei processi di sintesi, per ottenere una porosità interna adatta a promuovere la colonizzazione da parte delle cellule, l’afflusso di sostanze nutritive negli strati più profondi degli scaffold, e la contestuale diffusione all’esterno dei prodotti di scarto derivanti dal metabolismo cellulare. Le applicazioni sono anche in questo ambito numerose, e talvolta sorprendenti. Le nanofibre riproducono sia i segnali fisici impartiti dalla topologia fibrillare sia le istruzioni biochimiche derivanti dai domini proteici con cui sono caricate o decorate, e che vengono captate dai recettori superficiali delle cellule. In tal modo, si è in grado non solo di stimolare l’attecchimento e la proliferazione cellulare, ma anche di influenzare l’allineamento, come mostrato in fig. 5, la distribuzione dei punti di adesione allo scaffold, l’espressione di specifici geni, e la specializzazione di cellule staminali verso un fenotipo desiderato (neuronale, osteogenico, ecc.). Differenziare le cellule staminali in modo controllato, programmandone l’evoluzione per mezzo delle caratteristiche del materiale dello scaffold, fino al limite di non necessitare più di stimoli chimici erogati da fattori di crescita di supplemento ai mezzi liquidi di coltura, è oggi uno dei filoni di ricerca più rilevanti nel panorama della medicina rigenerativa.

In ultimo, le nanofibre polimeriche possono essere impiegate come un eccellente supporto per il rilascio di farmaci quali antibiotici, anticoagulanti, chemioterapici antitumorali, molecole antiossidanti, a seguito di applicazione del materiale in una determinata zona del corpo. Con idonee strategie di incapsulamento, ad esempio mediante fibre core-shell costituite da strati concentrici e la cui regione interna alloggi gli agenti molecolari di interesse, la cinetica di rilascio del farmaco può essere resa molto graduale. Spessori, polimeri, e porosità a nanoscala degli strati esterni delle fibre possono essere ottimizzati al fine di rallentare il rilascio diffusivo delle molecole bioattive, rilasciando dunque il farmaco anche per settimane o mesi nel periodo post-impianto.

4 Trasferimento tecnologico e outreach

Come detto, le tecnologie di produzione delle nanofibre polimeriche sono generalmente economiche. Inoltre, metodi come l’electrospinning consentono di produrre quantità notevoli di fibre in tempi ristretti, con prestazioni in termini di produttività che sono considerevolmente migliori delle altre tecniche per la realizzazione di nanoparticelle. Fare progredire questi metodi fino a scala preindustriale ed industriale si dimostra fattibile in molti modi, ad esempio sfruttando differenti estrusori in parallelo, oppure adoperando tecniche di elettrofilatura che non utilizzano aghi metallici ma generano invece getti elettrificati direttamente a partire da superfici di liquido opportunamente predisposte come nel caso della tecnologia NanospiderTM della Elmarco (fig. 6). In generale, si assiste oggi sia ad una ampia commercializzazione degli apparati di elettrofilatura, sia allo sviluppo di prodotti basati su nanofibre polimeriche: materiali per filtrazione e per monitoraggio ambientale, tessuti medicati e pulenti, substrati per colture cellulari, innesti per il rilascio di farmaci e così via. Si creano i presupposti per lo sviluppo di una piattaforma tecnologica unica che consente di ottenere, con minime variazioni dei processi di base, nanomateriali per settori produttivi molto distanti tra loro, con ricadute economiche potenzialmente molto significative. Per questi nuovi mercati, i costi associati all’immobilizzazione di capitali per la messa in opera di apparati industriali complessi ed alla produzione non costituiscono più barriere d’ingresso rilevanti, molto più importante è la creatività necessaria a trovare nuove soluzioni tecnologiche che sfruttino a pieno il valore aggiunto delle nanostrutture polimeriche.

In questa nuova frontiera della competizione internazionale nel campo dei materiali, l’Italia è molto ben posizionata grazie a numerosi gruppi di ricerca consolidati e di start-up originate dai più genuini modelli di trasferimento tecnologico. Il progetto “SOCIAL-NANO”, sostenuto dall’intervento Start-up del Programma Operativo Nazionale “Ricerca e Competitività” ha promosso la formazione di un Cluster con enti pubblici e quattro PMI, finalizzato allo sviluppo di soluzioni basate su nanofibre per il monitoraggio di particolato PM10 e per il rilascio di farmaci chemioterapici. Nuove strategie per il trattamento delle acque, anch’esse centrate sulle nanofibre polimeriche, sono state ricercate nell’ambito di progetti recentemente conclusi in Emilia Romagna (“NEFELE”), in Puglia (“WAFITECH”), e nell’ambito del Progetto Bandiera “La Fabbrica del Futuro” (“NanoTwice”). Nel 2016, la Conferenza Internazionale di Electrospinning, dopo Australia, Corea e Stati Uniti, si è tenuta per la prima volta in Europa, ad Otranto, in Salento, con il supporto, tra gli altri, della Società Italiana di Fisica e di numerose aziende del settore. Per chi voglia conoscere i risultati più recenti delle ricerche sulle nanofibre polimeriche e discutere della potenzialità interdisciplinari offerte da questa tecnologie, il prossimo appuntamento sarà in Sud Africa, nel 2018.

Ringraziamenti

Gli autori esprimono la propria riconoscenza verso tutti i collaboratori, assegnisti, studenti che in questi anni presso l’Università del Salento, il Laboratorio Nazionale di Nanotecnologia, la sede di Lecce dell’Istituto Nanoscienze del CNR, e l’Istituto Italiano di Tecnologia, hanno consentito di sviluppare queste linee di ricerca con il loro entusiasmo e la loro passione. DP ringrazia inoltre Sauro Succi e Marco Lauricella di CNR-IAC per la preziosa collaborazione nell’ambito della fisica fondamentale del processo di electrospinning. Gli autori ringraziano lo European Research Council per il supporto espresso, sotto il Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea (FP/2007-2013), mediante il progetto ERC NANO-JETS (306357), ed il co-finanziamento delle attività del progetto SOCIAL-NANO da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Ricerca e Competitività 2007-2013 e del Piano di Azione e Coesione (PAC02L3_00087).